Gagliano Giuseppe La guerra umanitaria nell’interpretazione di Carlo Jean e Germanno Dottori

Rivista Marittima(Marzo 2013)

Stefano Bonucci IL DILEMMA DELL’INGERENZA UMANITARIA

Il recente articolo di  James M.Lindsey (CFR) disponibile on-line all’indirizzo: (http://blogs.cfr.org/lindsay/2013/04/25/obamas-chemical-weapons-dilemma-in-syria/?cid=nlc-public-the_world_this_week-link4-20130426

), sulla vicenda siriana, ripropone, se ce ne fosse ancora bisogno, il dibattito nelle relazioni internazionali, se e a quali condizioni diventi legittimo o, addirittura doveroso immischiarsi negli affari interni di un altro stato; a chi spetti giudicare la sussistenza delle condizioni e a chi sanzionarne le violazioni e gli eccessi, se questa ingerenza cessi o no di essere legittima qualora condotta da un solo attore.  La storia degli ultimi 30 anni ha potuto dimostrare come, teoria e pratica dell’ingerenza esprimano comunque un modello gerarchico di ordine internazionale, che affida non alla comunità internazionale ma, concretamente, a chi ha l’autorità ed il potere di parlare e agire in suo nome–cioè le maggiori potenze, con o senza la legittimazione delle Nazioni Unite (Kosovo, Iraq)- il diritto di vigilare sulla violazione dei diritti umani,sull’appropriazione di armi di distruzione di massa ecc., o addirittura sull’identità degli attori, secondo la teoria neoconservatrice  del regime change, o sotto l’egida ideale dell’esportazione del modello democratico occidentale. Al tempo del sistema internazionale multipolare, ma anche di quello bipolare della guerra fredda, l’impiego del proprio strapotere nei confronti di una potenza minore trovava un limite nella reciproca strategia delle altre grandi potenze, successivamente, il sistema unipolare dell’unica superpotenza rimasta (almeno sul piano militare) e dei suoi alleati non ha trovato più limiti, se non quelli più recenti, della prudenza politica e delle capacità economiche e militari (e dal loro esaurimento, dato l’ampio spettro d’impiego). Di fatto si è assistito ad un ordinamento internazionale che non si fondava su qualche immaginario superamento della sovranità ma, sulla sottrazione di quote crescenti di essa in capo a certi attori (i rogue states, ma non solo…vds crisi economica) e sulla sua riappropriazione da parte di altri. Così, in nome della responsibilityto protect o a seconda della corrispondenza agli standard politici ed economici della ‘normalità’ internazionale rispetto alla logica della democrazia, veniva meno la pretesa ‘sovrana’ di uno stato a perimetrare il proprio territorio dalle pretese altrui, dichiarando se e quando qualcosa la minacciava, se e quando intervenire, anche in assenza di un mandato internazionale o oltrepassandone i limiti (Libia). Sorvolando sulla condivisibilità o meno degli intenti, o quantomeno sulla ragionevolezza dei fenomeni d’ingerenza rispetto alle cause adite, alla luce dei fatti storici, appare evidente il fallimento del proposito fondante la Comunità internazionale quale consesso nel quale, criteri chiari e condivisi, dovrebberofar maturare la decisione di un intervento. L’ipocrisia ed il doppiopesismo dimostrato da alcune grandi potenze nella discrezionale riserva del diritto di interpretare, imporre, applicare ‘il caso d’eccezione’, senza preoccuparsi delle conseguenze  (…in fondo c’èsempre un exit strategy), ne è l’evidente esempio, ed al tempo stesso la causa dell’indebolimento della sua legittimità e rappresentatività. Quali aspettative Stati, popoli, singoli individui possono nutrire nell’esercizio della vigilanza della ‘comunità internazionale’ sull’operato dei propri membri, rispetto al doppio standard impiegato nei confronti di paesi militarmente deboli quale la Libia (per l’appunto generosamente dotata di ingenti risorse energetiche) e paesi militarmente forti quali la Siria (non altrettanto generosamente dotata di risorse e geostrategicamente meno accessibile)? …per limitarsi al caso in disamina, essendo la lista delle incoerenze ben più lunga (Somalia, Palestina etc). Una capacità discrezionale del resto ormai paradossale, quella della coalizione occidentale delle potenze vincitrici della guerra fredda, sempre più lontane dal rappresentare il club effettivo delle grandi potenze, che vuole continuare ad esprimere quel protagonismo politico e militare interventista, che si scontra con il suo anacronismo, dato il mutato scenario di un ‘villaggio globale’  tendente all’edificazione di una pluralità di ordini regionali, ciascuno stretto attorno a potenze e principi diversi, sempre più ostile a ingerenze esterne extra-regionali.  A tal proposito, valga su tutti l’esempio della maldestra esportazione armata della democrazia European Style (di poco più ipocrita dell’originale americano) in Libia, e di contro, gli slogan vuoti con i quali gli stessi hanno approcciato la rivolta in Siria sin dal marzo 2011 “ con forza ed in modo inequivocabile condanniamo queste violenze […] è solo una questione di tempo prima che Assad cada […] La Siria non è la Libia etc” accompagnati poi dall’embargo  sulle armi ai ribelli (che ora pensano di togliere), che evidenziano quella profonda ambivalenza dettata da considerazioni di interesse economico e strategico di un Europa che, dal compiacimento surreale post-Libia manifestato verso la sua leadership, si è trovata catapultata nella depressione della crisi economica, nella divisione al proprio interno, angosciata per il futuro dell’Euro e dell’intero processo d’integrazione. Come del resto la consorella americana. ‘Non minacciare ciò che non si è disposti a fare’ recita inizialmente l’articolo di James M. Lindsay.Una regola della politica estera che nella fattispecie, esprime non solo il rischio che gli USA di Obama correrebbero in caso d’inattività rispetto all’eventuale constatazione dell’uso di armi chimiche da parte del regime di Assad, minandone la credibilità ed il potere e conseguentemente il grado d’influenza in altri teatri (Iran e Corea del Nord); non solo la presa di coscienza della difficoltà del Paese ‘unto’ dal ‘Manifest Destiny’ consegnatogli dai padri fondatori calvinisti, di far fronte a tutti i problemi di politica estera che richiedono la sua attenzione; bensì la certezza, ancora una volta, che nel tanto celebrato ‘villaggio globale’ è possibile invocare principi universali in un luogo e poi comunicare agli uomini di altri luoghi che quei principi NON valgono anche per loro. Sarebbe ora di comprendere che l’etica basata sulla convinzione della legittimità dell’ingerenza ‘a costo zero’, assicurata sin ora dall’asimmetria militare nonché giudiziaria (impunità rispetto alle conseguenze delle proprie azioni), dietro la quale si cela l’indisponibilità a pagare un prezzo anche solo minimamente proporzionato all’irrinunciabilità dei principi invocati, non è più sostenibile, sia per i nuovi equilibri reclamati dai nuovi attori del contesto globale, sia per il ‘tradimento’ delle aspettative che reca con se, alimentando il risentimento di chi lo subisce, rendendo più facile il suo arruolamento tra le fila dell’esercito che quella ‘asimmetria’, gli ha rivoltato contro.

 

Gagliano Giuseppe Prolegòmeni alla Pedagogia antagonista del Novecento

Con questo breve saggio abbiamo voluto interpretare la pedagogia del dissenso o antagonista – che si riferisce a quell’ampia e articolata visione ideologica del mondo (sorta tra Ottocento e Novecento) di matrice ora socialista utopista, ora marxista, ora anarchica, che ha perseguito, e persegue, la finalità di progettare un uomo nuovo e una realtà politica e sociale radicalmente altra rispetto a quella del sistema dominante – attraverso un approccio metodologico mutuato dalla scuola di guerra psicologica francese e dallo studio della conflittualità non convenzionale di Vittorfranco Pisano.

Aracne Edizioni

Gagliano Giuseppe Intervista a Francesco Gesualdi (a cura Lorenzo Guadagnucci) , Dalla parte sbagliata del mondo, Altreconomia,2008

Articolo

Fernando Termentini Terrorismo : la minaccia delle cellule dormienti

Articolo

Gagliano Giuseppe La destabilizzazione americana nel contesto della Primavera araba nella interpretazione di Eric Denécé

Eric Denécé è Direttore del CFR2 e Direttore esecutivo per l’intellingence del CESTUDEC

Fernando Termentini Una nuova minaccia, il terrorismo casalingo

Articolo

 

 

Jean-Loup Saman La RAND Corporation (1989-2009)

Per la prima volta in traduzione italiana il saggio di Jean-Loup Saman sulla RAND Corporation uno dei più importanti centri di ricerca privati americani.L’autore docente al Nato Defense College di Roma analizza la genesi e l’approccio metodologico innovativo della Rand nel contesto delle relazioni internazionali e della strategia militare americana. Prefazione di Jean-Jacques Roche.

Rand Corporation

 

Prefazione all’edizione italiana

 

E un piacere e un proprio onore di vedere oggi il mio libro tradotto in italiano per raggiungere nuovi lettori che desiderano scoprire e capire il mondo dei Think Tanks americani, e in particolare della RAND Corporation.

 

Questo libro è il risultato di una ricerca durata quattro anni; in questo periodo ho avuto accesso a esclusivi archivi e ho condotto più di una cinquantina d’interviste con responsabili politici e militari e ricercatori a Washington. L’ipotesi generale di questo lavoro consiste nel dimostrare che il mondo degli studi strategici è stato in gran parte forgiato dopo la RAND Corporation – l’ultimo archetipo degli Think Tanks americani  – e partendo dal suo stretto rapporto con l’esercito americano. Da allora, essa fornisce materiale particolarmente fecondo per osservare gli adattamenti di un’organizzazione che deve affrontare una rottura macropolitica.

Per l’Italia, la problematica di questo saggio non è estranea. Dopo la Germania, il governo italiano fu uno dei primi clienti della RAND mentre questa iniziò il suo movimento di europeizzazione negli anni novanta. Infatti, un episodio riferito da varie persone negli Stati Uniti permette di catturare l’importanza dell’argomento per l’ambiente italiano: nel 1998, la RAND rilasciò uno studio sul futuro dell’iniziativa “Dialogo Mediterraneo” della NATO, commissionato dal Ministero italiano della Difesa[1]. Non è una sorpresa che la RAND trovò con questa nuova iniziativa della Alleanza Atlantica un opportunità di lavorare per l’Italia: per Roma, la dimensione mediterranea della NATO era storicamente un elemente molto importante sulla sua agenda riguardo a Washington e Bruxelles, che è diventata ancora più rilevante durante gli anni successivi alla fine della Guerra Fredda[2]. Dopo la presentazione del rapporto della RAND al Ministero a Roma, la Rappresentanza Permanente d’Italia presso il Consiglio Atlantico avrebbe usato, secondo diversi fonti, le conclusioni precise della RAND per promuovere la sua posizione durante una sessione speciale del Consiglio sul “Dialogo Mediterraneo”. In seguito, la Francia avrebbe manifestato la sua virulenta opposizione contro le idee sviluppate da un centro americano vicino al Pentagono. Con ciò, i responsabili politici e gli eserciti italiani sono stati toccati direttamente dalla problematica della costituzione di saperi americani destinati a governi stranieri attraverso il lavoro della RAND durante gli ultimi due decenni.

 

Ma oltre il ruolo esplicito che un Think Tank come la RAND ha potuto giocare in Francia e in Italia nello sviluppo di un mercato internazionale delle idee strategiche secondo l’agenda di Washington, penso, e spero, che questo libro possa trovare lettori che, in modo più fondamentale, si pongano delle domande a proposito della funzione politica dei saperi in generale, e dei saperi nel settore della geopolitica in particolare. Due delle mie grandi influenze durante gli anni dedicati a questo libro erano le opere di Michel Foucault e Pierre Bourdieu sull’interazione – e spesso la tensione – tra la conoscenza e il potere. Ma per essere giusto, un’influenza notabile per Foucault e Pierre Bourdieu in questo settore delle loro opere era Antonio Gramsci e le sue riflessioni sul ruolo degli ‘intellettuali  organici’ nello sviluppo dello stato. Da questo punto di vista, esiste in Italia come in Francia un dibatto storico sulla posizione sociale e politica degli intellettuali in cui lo studio di attori tali la RAND e altri Think Tanks s’integra perfettamente. A tal proposito, spero che il mio libro possa contribuire a questo dibatto col pubblico italiano.  

 

 

Jean-Loup Samaan, Roma, il 15 Aprile 2013.

 


[1] Stephen Larrabee, Jerrold Green, Ian Lesser, Michele Zanini, NATO‘s Mediterranean Initiative : Policy Issues and Dilemmas, Santa Monica, RAND, 1998.

[2] Per capire questo fenomeno contemporaneao, vedere Alessandro Minuto Rizzo, Un Viaggio Politico Senza Mappe: Fra Diversità e Futuro nel Grande Medio Oriente, Roma, Rubbetino, 2013.

Matthew T. Penney-Harold P. Ford-Peter Nyren-IL PRESIDENTE NIXON E IL RUOLO DELL’INTELLIGENCE NELLA GUERRA ARABO-ISRAELIANA DEL 1973

Il CESTUDEC ha il piacere di presentare in traduzione italiana il documento storico dell’Uffico Storico della Center Intelligence Agency.Ringraziamo Bruce Barkan della Historical Collections Division della CIA.

Saggio

Fernardo Termentini In Siria incombe la minaccia delle armi chimiche

L’analisi del nostro VicePresidente.

Articolo