La crisi Ucraina nell’interpretazione di Le Monde Diplomatique

In un interessante editoriale David Teurtrie su Le Monde Diplomatique https://www.monde-diplomatique.fr/2022/02/TEURTRIE/64373 esprime in modo lucido e provocatorio – provocatorio sia chiaro almeno per i numerosissimi analisti filo atlantici nostrani – una riflessione in controtendenza sulla questione ucraina .

Più volte gli Stati Uniti hanno minacciato di disconnettere la Russia dal sistema bancario globale.Ma la Russia a differenza di altre nazioni è stata previdente e ha saputo giocare di anticipo. Infatti

“dal 2014, le autorità russe hanno aumentato significativamente la capacità della loro economia di superare un grave shock, in particolare per il settore bancario e finanziario. La quota del dollaro è diminuita nelle riserve della banca centrale. Una carta di pagamento nazionale, Mir, è ora nel portafoglio dell’87% della popolazione. E, se gli Stati Uniti avessero portato avanti la loro minaccia di disconnettere la Russia dal sistema Swift occidentale, come hanno fatto per l’Iran nel 2012 e nel 2018, i trasferimenti finanziari tra banche e società russe potrebbero ora essere effettuati tramite messaggistica locale”.

Passiamo adesso all’atteggiamento del presidente Putin nei confronti del processo di allargamento : è evidente che il progetto Nato mira a trasformare l’Ucraina in una sorta di anti Russia nazionalista. Infatti da un lato l’attuale premier ucraino ha amplificato la politica di rottura con il mondo russo avvicinandosi sempre di più agli Stati Uniti e in secondo luogo ha rafforzato la cooperazione militare in ambito Nato .Per non parlare del fatto che la Turchia ha consegnato droni da combattimento che fanno temere in modo legittimo alla Russia che Kiev potrebbe tentare di riconquistare militarmente il Donbass.

Ma l’allargamento dell’alleanza atlantica-si domanda l’editorialista francese-era una cosa prevedibile, scontata? Tutt’altro. La scomparsa del patto di Varsavia infatti avrebbe dovuto determinare la dissoluzione dell’alleanza atlantica per essere sostituita con nuove alleanze come quella proposta dalla Francia. Ma così non è stato. Non solo l’alleanza atlantica non si è dissolta ma si è allargata verso est al fine di consolidare il dominio americano in Europa servendosi della Germania per riconquistare la propria influenza in Europa. E regie antiatlantico il antiamericane queste? Non proprio.

Come ricorda l’editorialista francese un analista americano non sospettabile certo le simpatie filocomuniste ,George Kennan, considerato l’architetto della politica di contenimento dell’URSS, prevedi le conseguenze logiche e dannose di tale decisione: “L’allargamento della NATO sarebbe l’errore più fatale nella politica americana dalla fine della guerra fredda. Ci si può aspettare che questa decisione susciti le tendenze nazionaliste, anti-occidentali e militaristiche dell’opinione pubblica russa; ravviva un’atmosfera di guerra fredda nelle relazioni Est-Ovest e diriga la politica estera russa in una direzione che non corrisponderà davvero ai nostri desideri “. Un monito questo completamente dimenticato e disatteso dagli Stati Uniti.

L’Intervento in Iraq da parte degli Stati Uniti, l’intenzione di installare infrastrutture militari nell’Europa orientale nonostante gli accordi siglati nel 97 hanno profondamente irritato non solo l’attuale premier russo ma hanno determinato un profondo senso di diffidenza e di sfiducia da parte della oligarchia politica e militare russa nei confronti degli Stati Uniti. Ma le provocazioni da parte di Stati Uniti-almeno secondo la lettura che ne dà le l’editorialista francese-non sono sempre finite qui: il ritiro degli Stati Uniti dal trattato sui missili balistici nel 2001 e il timore da parte russo-certamente fondato-che le rivoluzioni colorate arrivassero a destabilizzare tutto lo spazio post- sovietico allo scopo di creare regimi filoccidentali ha fatto il resto.E che dire quando nell’aprile del 2008 gli Stati Uniti hanno fatto di tutto per esercitare una forte pressione sui propri alleati allo scopo di fare rientrare la Georgia e guarda caso l’Ucraina nell’orbita atlantica? Cosa è successo poi nella realtà? La Russia è intervenuta militarmente in Georgia nel 2008 e ha riconosciuto l’indipendenza dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia. Con questo intervento militare che naturalmente ha violato il diritto internazionale sinè tuttavia fermato l’allargamento dell’alleanza atlantica. Ma nonostante il successo dell’intervento russo le ambizioni americane non si sono fermate come dimostra il fatto che nel 2013 gli Stati Uniti-sostenuti degli europei-hanno legittimato le manifestazioni spontanee-se così vogliamo esprimerci-che hanno portato alla caduta del presidente Viktor Yanukovich, la cui elezione nel 2010 è stata riconosciuta come conforme agli standard democratici.

Come puntualmente sottolinea la ricercatrice Isabelle Facon, la Russia “percepisce con fastidio il fatto che i paesi europei sono irrimediabilmente incapaci di autonomia strategica dagli Stati Uniti e che rifiutano di assumersi le proprie responsabilità di fronte al deterioramento della situazione strategica e internazionale “.

Se insomma siamo arrivati a questo punto-quasi ad un punto di non ritorno tra Russia e Ucraina-a voler essere non dico obiettivi ma quantomeno neutrale la responsabilità certo non è solo della Russia ma è soprattutto degli Stati Uniti e dei loro ambizioni egemoniche. Come sottolinea l’editorialista francese a conclusione del suo lungo articolo : “la crisi delle relazioni russo-occidentali dimostra che la sicurezza del continente europeo non può essere garantita senza – e a maggior ragione contro – la Russia. Washington, al contrario, sta lavorando per promuovere questa esclusione poiché rafforza l’egemonia americana in Europa. Da parte loro, gli europei occidentali, in primo luogo la Francia, mancavano di visione e coraggio politico per bloccare le iniziative più provocatorie di Washington e proporre un quadro istituzionale inclusivo per evitare la ricomparsa di linee divisorie “. Insomma ancora una volta manca un’Europa sul piano politico -militare.Ancora una volta l’Europa dimostra di essere dal punto di vista politico -militare una entità fantasma, suddita degli obiettivi a breve e a lungo termine degli Stati Uniti.

Il caso Abu Omar e la sovranità politica italiana

Eppure tutti e ventisei i condannati sono sempre rimasti liberi come l’aria: tra il 2006 e il 2012 ben sei ministri della Giustizia di governi di centrodestra e centrosinistra–Roberto Castelli, Clemente Mastella, Luigi Scotti, Angelino Alfano, Nitto Palma e Paola Severino–rifiutarono di estendere le ricerche a livello internazionale al fine di arrestarli ed estradarli in Italia. 40 E due presidenti della Repubblica concessero la grazia a quattro di loro: nel 2013 Giorgio Napolitano la concesse al colonnello Joseph Romano, successivamente Sergio Mattarella graziò Robert Seldon Lady, Betnie Medero e Sabrina De Sousa. “Nel febbraio del 2016 la Corte europea dei diritti dell’uomo condannò l’Italia per aver violato gli articoli 3, 5, 8 e 13 della Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo. Quegli articoli stabiliscono il divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti, il diritto alla libertà e alla sicurezza, al rispetto della vita privata e famigliare e infine il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva. L’Italia, unica nazione i cui magistrati e giudici avevano ottenuto una condanna definitiva per i responsabili di una extraordinary rendition della Cia, ora si ritrovava condannata dalla Corte europea per come le sue istituzioni–inclusi due presidenti della Repubblica e la Corte costituzionale–avevano gestito il caso Abu Omar. «Alla fine» scriveva la corte «era stata garantita l’impunità.» Sia agli agenti della Cia, sia ai vertici del Sismi. Sebbene il generale Pollari e il direttore del controspionaggio Mancini fossero stati condannati, il segreto di Stato li protesse e le condanne furono annullate. La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, tuttavia, conteneva parole di grande apprezzamento per il lavoro dei magistrati italiani e faceva notare che, contrariamente a casi come quello di Khaled el-Masri, «le autorità inquirenti italiane hanno condotto un’inchiesta approfondita che ha permesso loro di ricostruire i fatti. La corte rende omaggio al lavoro dei magistrati nazionali, che hanno fatto tutto il possibile per tentare di “stabilire la verità”». “Tutti questi fatti relativi al caso Abu Omar erano noti pubblicamente, perché l’inchiesta era stata seguita dalla stampa e dai media di tutto il mondo che, grazie alle indagini di Spataro e Pomarici, potevano finalmente avere informazioni fattuali sulle extraordinary renditions della Cia. Ma è solo grazie ai cablo che riuscii a ottenere le prove delle pressioni degli Stati Uniti sulla politica italiana affinché non si arrivasse all’estradizione dei ventisei americani condannati. I documenti permettevano di capire come la diplomazia americana fosse consapevole di non avere alcuna chance di influenzare l’inchiesta dei procuratori Spataro e Pomarici, perché, in generale, considerava i magistrati italiani «drasticamente indipendenti». E allora, non potendo fare pressioni dirette sui procuratori, i diplomatici le fecero sui politici, sia di destra che di sinistra. In uno dei file 42 del 24 maggio 2006, l’allora ambasciatore americano a Roma inviato dall’amministrazione Bush, Ronald Spogli, descriveva così il suo incontro con Enrico Letta, allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel governo di centrosinistra di Romano Prodi: «Nel contesto del mantenimento delle nostre eccellenti relazioni bilaterali, l’ambasciatore spiegò a Letta che nulla danneggerebbe in modo più rapido e grave le relazioni [Italia-Usa] della scelta del governo italiano di inviare i mandati di arresto dei presunti agenti Cia associati al caso Abu Omar. Questo era qualcosa di assolutamente fondamentale». Enrico Letta ebbe qualcosa da obiettare nei riguardi di pressioni così esplicite? Stando al cablo, no. «Letta» recita il documento «prese nota e suggerì di discutere personalmente la questione con il ministro della Giustizia Mastella. “Pochi mesi dopo, nell’agosto del 2006, l’ambasciatore Spogli tornava a scrivere 43 a Washington: «Il ministro Mastella ha finora tenuto a bada le ricorrenti richieste giudiziarie di estradare i presunti agenti Cia che sarebbero coinvolti nella rendition di Abu Omar. Prodi ha rifiutato di rilasciare qualsiasi dettaglio sulla potenziale conoscenza o sul coinvolgimento degli italiani nel caso». L’anno dopo fu la volta di Massimo D’Alema, allora ministro degli Esteri nel governo di Romano Prodi. L’ambasciatore americano riportava in questo modo il suo incontro nell’aprile del 2007: 44 «D’Alema ha chiuso il meeting di un’ora facendo notare di aver chiesto al segretario [di Stato] se il Dipartimento [di Stato] potesse inviargli una nota scritta in cui si spiegava che gli Stati Uniti non avrebbero dato seguito alle richieste di estradizione del caso Abu Omar, nel caso in cui queste fossero state inviate. Una simile nota–aveva spiegato–avrebbe potuto essere usata preventivamente dal governo italiano per respingere l’azione dei magistrati, che cercavano l’estradizione dei cittadini americani implicati». Passò un anno, all’esecutivo di Romano Prodi succedette quello di Silvio Berlusconi, ma il risultato non cambiava. «Berlusconi ha continuato a stare con noi facendo il meglio che può nel processo ai ventisei americani» scriveva nell’ottobre del 2008 l’ambasciatore americano Ronald Spogli.

Il potere segreto: Perché vogliono distruggere Julian Assange e WikiLeaks by Stefania Maurizi

Pizza e basi militari in Italia secondo The Guardian


La maggior parte dei turisti pensa all’Italia come alla terra dell’arte rinascimentale, delle antichità romane e, naturalmente, dell’ottima pizza, pasta e vino.  Pochi lo considerano una terra di basi militari statunitensi, ma il Pentagono ha passato gli ultimi due decenni ad arare centinaia di milioni di dollari delle tasse in basi in Italia, trasformando il Paese in un centro sempre più importante per la potenza militare statunitense.

Dall’inizio della guerra globale al terrore nel 2001, l’esercito ha spostato il suo centro di gravità europeo a sud dalla Germania, dove la stragrande maggioranza delle forze statunitensi nella regione è di stanza dalla fine della seconda guerra mondiale.  Nel processo, il Pentagono ha trasformato la penisola italiana in un trampolino di lancio per future guerre in Africa, Medio Oriente e oltre.

Nelle basi di Napoli, Aviano, Sicilia, Pisa e Vicenza, tra le altre, i militari hanno speso più di 2 miliardi di dollari nella sola costruzione dalla fine della guerra fredda – e quella cifra non include miliardi in più su progetti di costruzione classificati e  costi operativi e del personale quotidiani.

Il mese scorso ho avuto la possibilità di visitare la nuovissima base americana in Italia di  Vicenza, vicino a Venezia.  Sede di una forza di intervento di reazione rapida, della squadra di combattimento della 173a brigata di fanteria e della componente dell’esercito del comando dell’Africa degli Stati Uniti (Africom), la base si estende per un miglio, da nord a sud, facendo impallidire tutto il resto nella piccola città.  In effetti, su oltre 145 acri, la base è quasi esattamente delle dimensioni del centro commerciale nazionale di Washington o l’equivalente di circa 110 campi da football americano.  Il prezzo per la base e la relativa costruzione in una città che ha già ospitato almeno sei installazioni: oltre 600 milioni di dollari dall’anno fiscale 2007.

L’Italia è diventata sempre più importante poiché il Pentagono lavora per cambiare la composizione della sua collezione globale di 800 o più basi all’estero.  Le uniche persone che hanno prestato attenzione a questo accumulo sono gli italiani nei movimenti di opposizione locali come quelli di Vicenza che sono preoccupati che la loro città diventi una piattaforma per future guerre statunitensi.

Pubblicamente, i funzionari statunitensi affermano che non ci sono basi militari statunitensi in Italia.  Insistono sul fatto che le nostre guarnigioni, con tutte le loro infrastrutture, attrezzature e armi, siano semplicemente ospiti di quelle che ufficialmente rimangono basi “italiane” designate per l’uso della NATO.  Naturalmente, tutti sanno che questa è in gran parte una sottigliezza legale.

L’esercito ha speso molto per aggiornare le sue basi italiane.  Fino ai primi anni ’90, la base aerea americana di Aviano, a nord-est di Vicenza, era un piccolo sito noto come “Sleepy Hollow”.  A partire dal trasferimento degli F-16 dalla Spagna nel 1992, l’aviazione l’ha trasformata in un’importante area di sosta per ogni significativa operazione bellica dalla prima guerra del Golfo.  Nel processo, ha speso almeno $ 610 milioni in più di 300 progetti di costruzione: Washington ha convinto la Nato a fornire più della metà di questi fondi e l’Italia ha ceduto gratuitamente 210 acri di terra.  Oltre a questi progetti, l’aviazione ha speso altri 115 milioni di dollari per la costruzione dall’anno fiscale 2004.

Per non essere da meno, la marina ha stanziato più di 300 milioni di dollari a partire dal 1996 per costruire una nuova importante base operativa presso l’aeroporto di Napoli.  Nelle vicinanze, ha un contratto di locazione di 30 anni su un “sito di supporto” stimato da 400 milioni di dollari che sembra un grande centro commerciale circondato da ampi prati ben curati.  Nel 2005, la marina ha spostato la sua sede europea da Londra a Napoli mentre spostava la sua attenzione dal nord Atlantico all’Africa, al Medio Oriente e al Mar Nero.  Con la creazione di Africom, la cui sede principale rimane in Germania, Napoli è ora sede di una combinazione di forze navali USA Europa-Forze navali USA Africa.  Significativamente, il suo sito Web mostra in modo visibile l’ora di Napoli, Gibuti, Liberia e Bulgaria.

Nel frattempo, la Sicilia è diventata sempre più significativa nell’era della guerra globale al terrore, poiché il Pentagono l’ha trasformata in un importante nodo delle operazioni militari statunitensi per l’Africa, a meno di 100 miglia di distanza attraverso il Mediterraneo.  Dall’anno fiscale 2001, il Pentagono ha speso di più per la costruzione della base aerea navale di Sigonella – quasi 300 milioni di dollari – che in qualsiasi base italiana diversa da Vicenza.  Ora la seconda stazione aerea navale più trafficata d’Europa, Sigonella è stata utilizzata per la prima volta per lanciare i droni di sorveglianza Global Hawk nel 2002. Nel 2008, i funzionari statunitensi e italiani hanno firmato un accordo segreto che consente formalmente l’insediamento di droni . Da allora, il Pentagono ha stanziato almeno 31 milioni di dollari per costruire un complesso di manutenzione e operazioni Global Hawk.  I droni forniscono le basi per il sistema di sorveglianza terrestre da $ 1,7 miliardi, che offre capacità di sorveglianza della NATO fino a 10.000 miglia da Sigonella.

A giugno, una sottocommissione del Senato degli Stati Uniti ha raccomandato di spostare le forze per le operazioni speciali e i falchi pescatori CV-22 dalla Gran Bretagna alla Sicilia, poiché “Sigonella è diventata un trampolino di lancio fondamentale per le missioni relative alla Libia, e date le turbolenze in corso in quella nazione, nonché l’emergere  di attività di addestramento terroristico in Nord Africa”.  

Da parte sua, l’Italia sembra aver beneficiato direttamente di questa cooperazione – alcuni dicono che lo spostamento delle basi dalla Germania all’Italia fosse anche inteso come un modo per punire la Germania per il suo mancato sostegno alla guerra in Iraq.  Secondo un rapporto del 2010 del Jane’s Sentinel Security Assessment, “il ruolo dell’Italia nella guerra in Iraq, fornendo 3.000 soldati allo sforzo guidato dagli Stati Uniti, ha aperto contratti di ricostruzione iracheni alle imprese italiane, oltre a cementare le relazioni tra i due alleati”.  Il suo ruolo nella guerra in Afghanistan ha sicuramente offerto vantaggi simili.  Tali opportunità sono arrivate in mezzo a crescenti problemi economici e in un momento in cui il governo italiano si stava rivolgendo alla produzione di armi come un modo principale per rilanciare la sua economia.  Secondo Jane, i produttori di armi italiani come Finmeccanica hanno cercato in modo aggressivo di entrare negli Stati Uniti e in altri mercati.  Nel 2009 le esportazioni di armi italiane sono aumentate di oltre il 60%.

Naturalmente, c’è un altro fattore rilevante nella formazione italiana del Pentagono.  Per le stesse ragioni per cui i turisti americani affollano il paese, le truppe statunitensi hanno a lungo goduto della dolce vita .Oltre alla vita confortevole circa 40.000 visitatori militari all’anno da tutta Europa e oltre vengono al resort militare di Camp Darby e alla “spiaggia americana” sulla Riviera italiana, rendendo il paese ancora più attraente.

La giustificazione del Pentagono per la nuova base era la necessità dell’esercito di portare truppe dalla Germania a Vicenza per consolidare la 173a brigata in un unico luogo.  

Le basi in Italia rendono più facile perseguire nuove guerre e interventi militari in conflitti di cui sappiamo poco, dall’Africa al Medio Oriente. A meno che non ci chiediamo perché abbiamo ancora basi in Italia e in altre dozzine di paesi simili in tutto il mondo quelle basi ci aiuteranno a guidarci, in nome della “sicurezza” americana lungo un percorso di perpetua violenza, di perpetua guerra e di perpetua insicurezza.