Micheli Mattia Gioele Chessplayer: chi vince la guerra in Ucraina?

La riflessione di Noam Chomsky sul conflitto ucraino

Il ruolo della Nato

In ogni caso, nel 1991 rimaneva in piedi la domanda di cosa fare della NATO. La conclusione logica avrebbe dovuto essere che doveva essere sciolta: la sua giustificazione ufficiale non esisteva più. Invece, fu allargata e non solo a livello territoriale ma anche nella sua missione. La missione ufficiale della NATO fu modificata perché diventasse di portata globale, non soltanto il confronto con la Russia. Così, la missione della NATO divenne la protezione del sistema energetico globale, un mezzo per assicurare che esso rimanesse sotto il controllo occidentale: non c’è un’altra accezione di «protezione». Questo sistema includeva le vie marittime e i condotti di gas e petrolio, insomma il mondo intero. In questo modo la NATO è diventata sostanzialmente una forza di intervento a guida statunitense. E lo possiamo confermare agevolmente: basta pensare ai Balcani nel 1999, quando la NATO bombardò la Serbia per la questione del Kosovo. Già questo è un indizio forte del fatto

che la NATO è semplicemente una forza di intervento statunitense che non presta la benché minima attenzione al diritto internazionale. Nel caso della reazione occidentale all’invasione irachena del Kuwait quantomeno si potevano addurre delle argomentazioni, io non credo che fossero valide, ma almeno si potevano immaginare, insomma che fosse una reazione difensiva.

Interventi umanitari

Per giustificare tutto questo sono stati architettati diversi stratagemmi, a livello di ideologia e di propaganda. È istruttivo analizzarli. Uno di questi, molto interessante, è la dottrina del cosiddetto «dovere di proteggere»–RtoP (Responsibility to Protect). Essa in verità prevede due versioni. Una è quella riconosciuta dalle Nazioni Unite, durante l’Assemblea generale ONU del 2005: una versione più ristretta del RtoP che è leggermente diversa da quella che esisteva prima. Poi c’è l’altra versione, che fu sviluppata più o meno nel periodo dei bombardamenti sulla Serbia del 1999 dalla commissione internazionale guidata dall’ex ministro degli Esteri australiano Gareth Evans. La versione di Evans è sostanzialmente identica a quella accolta dalle Nazioni Unite pochissimi anni dopo, ma con una differenza cruciale. In un paio di paragrafi si dice in sostanza: «Laddove non vi sia unanime consenso internazionale, né accordo in seno al Consiglio di sicurezza sull’autorizzazione a un intervento, le organizzazioni regionali nella loro area di giurisdizione possono effettuare un intervento militare che deve essere soggetto a una successiva autorizzazione da parte del Consiglio di sicurezza». Possiamo tradurre tutto questo in una realtà geopolitica. Significa in pratica che la NATO può effettuare interventi militari entro quella che essa stessa definisce come propria area di giurisdizione–che può anche essere il mondo intero–senza l’autorizzazione del Consiglio di sicurezza. E se analizziamo i casi di ricorso al RtoP, è sconcertante vedere che cosa è avvenuto. La versione dell’ONU mirava a dimostrare la legittimità di un’azione, mentre la sua effettiva applicazione segue la versione della commissione di Evans. Dunque, in sostanza, ciò significa che gli USA-NATO possono usare la forza militare senza autorizzazione del Consiglio

Ucraina e Stati Uniti

Il presidente George W. Bush–l’amabile nonnetto rimbambito festeggiato dalla stampa per i vent’anni della sua invasione dell’Afghanistan–mollò le redini, ammettendo vari alleati, fra cui i paesi baltici. Nel 2008 invitò l’Ucraina a aderire, stuzzicando l’orso che dorme. Dal punto di vista geostrategico, l’Ucraina è un territorio fondamentale per la Russia, anche lasciando da parte gli stretti rapporti storici e l’ampia fetta di filorussi nel paese. Germania e Francia opposero il loro veto all’incosciente invito di Bush, invito che però non è mai stato tolto dal tavolo. Nessuna dirigenza russa l’avrebbe mai accettato, di certo non Gorbačëv, che al riguardo si era nitidamente espresso. Come nel caso dello schieramento di armi offensive sul confine russo, esiste una soluzione semplice. L’Ucraina può avere lo stesso ruolo che l’Austria e alcuni paesi nordici ebbero durante la Guerra fredda: neutrali, ma strettamente legati all’Occidente e abbastanza protetti: partecipi dell’Unione europea nel grado in cui hanno stabilito di esserlo. Gli Stati Uniti rifiutano questa prospettiva, proclamando un’appassionata devozione alla sovranità delle nazioni, che non può essere violata: il diritto dell’Ucraina ad aderire alla NATO va salvaguardato. Una posizione virtuosa, che può forse essere encomiata negli Stati Uniti, ma di certo sollecita sghignazzi ovunque nel mondo, Cremlino compreso. Il mondo ci conosce bene come modello di devozione alla sovranità, soprattutto nei tre casi che più degli altri hanno fatto infuriare la Russia: Iraq, Libia e Kosovo-Serbia. Il rifiuto, da parte statunitense, di una neutralità simil-austriaca per l’Ucraina ha qualcosa di surreale. I politici americani sanno a perfezione che l’ammissione alla NATO dell’Ucraina è fuori discussione, per quanto ci è dato prevedere. E possiamo tranquillamente accantonare le ridicole esibizioni di rispetto per la sacrosanta sovranità. Dunque, in nome di un principio nel quale non credono neppure per un istante, e per perseguire un obiettivo che sanno essere portata, gli Stati Uniti corrono il rischio di disastrose sciagure. A tutta prima, si tratta di una mossa incomprensibile, che però rivela plausibili calcoli imperialistici.

Europa e Nato

Una risposta può esser suggerita dal celebre slogan sugli scopi della NATO: tenere la Russia fuori, la Germania buona e gli USA dentro. La Russia è alla larga. La Germania è buona. Rimane da chiedersi se gli USA rimarranno in Europa: o meglio, se rimarranno al potere in Europa. Non tutti hanno accettato senza opporsi questo assunto della politica mondiale; fra questi: Charles de Gaulle, che propose la sua idea di Europa dall’Atlantico agli Urali; l’ex cancelliere tedesco Willy Brandt, con la sua Ostpolitik; e il presidente francese Emmanuel Macron, con le sue attuali iniziative diplomatiche che tanto dispiacciono a Washington. Se la crisi Ucraina trovasse una soluzione pacifica, sarebbe un affare tutto europeo, rompendo con la concezione «atlantista» postbellica che vede gli Stati Uniti saldamente al posto di guida. Si creerebbe anche un precedente per un’ulteriore indipendenza europea, se non addirittura per un avvicinamento alla visione di Gorbačëv. Inoltre, con la «Nuova via della seta» cinese che incombe da est, nell’ordine globale si aprono nuovi e più ampi scenari.

Aspetti della politica estera americana

Tutto vero, anche se a volte è difficile da credere. Uno degli esempi più importanti e rivelatori ce lo fornisce la cornice retorica del maggiore documento di pianificazione interna risalente ai primi anni della Guerra fredda, il Memorandum 68 del 1950, poco dopo la «perdita della Cina» che mandò nel panico gli Stati Uniti. 2 Quel documento costituì la premessa per un’enorme “espansione del bilancio militare. Vale la pena di ricordarlo oggi che vediamo riverberare gli effetti di quella follia, e non per la prima volta. È così da sempre. Le raccomandazioni politiche del Memorandum 68 sono state ampiamente studiate dalla ricerca accademica, mentre si è dato scarso rilievo all’isterismo del suo stile retorico. L’impianto è quello di una fiaba: il male assoluto da una parte e la purezza e il nobile idealismo dall’altra. Da una parte c’è lo «Stato schiavista» (l’Unione Sovietica), con il suo «progetto fondamentale» e la sua innata «coazione» a conquistare l’« autorità assoluta sul resto del mondo», distruggendo tutti i governi e la «struttura della società» dovunque. Al suo male assoluto si contrappone la nostra assoluta perfezione. «Scopo fondamentale» degli Stati Uniti è assicurare ovunque «la dignità e il valore dell’individuo». I leader americani sono animati da una «tendenza generosa e costruttiva e dall’assenza di cupidigia nelle relazioni internazionali»: atteggiamento particolarmente evidente nel luogo storico dell’influenza statunitense, ovverossia l’emisfero occidentale, da tempo beneficiario della tenera sollecitudine di Washington, come possono testimoniare i suoi abitanti. Chiunque avesse familiarità con la storia e con i reali equilibri mondiali del potere dell’epoca avrebbe reagito a questa messinscena con totale sconcerto. Nemmeno gli autori del documento, presso il Dipartimento di Stato, credevano a ciò che scrivevano. Alcuni di loro, successivamente, lasciarono qualche indizio di ciò che intendevano fare. Il segretario di Stato Dean Acheson spiegò nelle sue memorie che, per poter imporre l’enorme espansione militare già pianificata, bisognava «ficcarlo in testa al governo» badando di essere «più cristallini della verità. “I precedenti retorici sono tanti, e in questo momento il tasto su cui si batte è l’indolenza e l’ingenuità degli americani verso le vere intenzioni di quel «cane sciolto» di Putin, ossia distruggere la democrazia ovunque essa sia e sottomettere il mondo alla sua volontà, questa volta con l’appoggio dell’altro «Grande Satana», Xi Jinping. Tutti hanno intravisto nel vertice tra Putin e Xi Jinping del 4 febbraio, in occasione dell’apertura dei Giochi olimpici, un evento di enorme rilevanza per gli affari internazionali. Un articolo in primo piano sul «New York Times» raccontava l’evento titolando «Un nuovo Asse», con un’allusione non troppo velata. Nel pezzo si riportavano le vere intenzioni di questa reincarnazione delle potenze dell’Asse: «Il messaggio che Cina e Russia hanno lanciato agli altri paesi è chiaro», scrive David Leonhardt. «Non faranno pressioni su altri governi affinché rispettino i diritti umani o indicano le elezioni». Con sgomento di Washington, l’Asse sta inoltre attirando a sé due paesi che rientrano nel «campo americano», l’Egitto e l’Arabia Saudita, esempi straordinari di come gli Stati Uniti rispettino i diritti umani e le elezioni all’interno del loro «campo», ossia garantendo un massiccio flusso di armi a queste brutali dittature o partecipando direttamente ai loro crimini. Il Nuovo Asse sostiene inoltre che «un paese potente dovrebbe poter imporre la sua volontà all’interno della sua conclamata sfera di influenza. Quel paese dovrebbe anche essere in grado di rovesciare un governo vicino più debole senza che il mondo interferisca. “Come nel caso del Memorandum 68, c’è del metodo nella follia. La Cina e la Russia rappresentano davvero una minaccia concreta. E l’egemone globale non la prende alla leggera. Ci sono temi ricorrenti nel modo in cui i commentatori e la politica statunitense reagiscono a quella minaccia. E meritano qualche riflessione. L’Atlantic Council definisce la formazione del Nuovo Asse uno «spostamento tellurico nelle relazioni internazionali» che sottende un progetto «da capogiro»: «Le parti hanno convenuto di creare legami più forti tra le loro economie mediante la cooperazione tra la Nuova via della seta cinese e l’Unione economica eurasiatica di Putin. Lavoreranno insieme allo sviluppo dell’Artico. Potenzieranno il coordinamento tra le istituzioni multilaterali e nella lotta ai cambiamenti climatici». 5 Non dobbiamo sottovalutare la grande rilevanza della crisi ucraina, aggiunge Damon Wilson, presidente del National Endowment for Democracy: «La posta in gioco di questa crisi non coinvolge soltanto l’Ucraina, ma il futuro della libertà», nientedimeno che. 6 Vanno prese delle misure forti al più presto, afferma il capogruppo della minoranza al Senato Mitch McConnell: «Il presidente Biden dovrebbe usare ogni strumento a sua disposizione e imporre dure sanzioni prima di un’invasione e non dopo». Non c’è tempo di baloccarsi con appelli macroniani all’orso furioso affinché moderi la sua violenza. “Per Washington la questione è più profonda: un accordo regionale porrebbe una seria minaccia allo status globale degli Stati Uniti. Questa preoccupazione cova sin dagli anni della Guerra fredda: è possibile che l’Europa acquisisca un ruolo indipendente negli affari internazionali (e sarebbe possibile) magari seguendo la visione gollista, ossia di un’Europa dall’Atlantico agli Urali, ripresa poi nel 1989 da Gorbačëv con la sua idea di una «casa comune europea», di un «vasto spazio economico dall’Atlantico agli Urali»? Ancora più impensabile sarebbe la visione ulteriormente allargata di Gorbačëv di un sistema di sicurezza eurasiatico da Lisbona a Vladivostok senza blocchi militari: una proposta che fu rifiutata senza possibilità di appello durante i negoziati condotti trent’anni fa per ricercare un accomodamento post-Guerra fredda.

Cina

Più o meno lo stesso vale per gli attriti con la Cina. Come abbiamo discusso in precedenza, 12 ci sono seri problemi riguardanti la violazione del diritto internazionale da parte della Cina nei mari vicini, anche se gli Stati Uniti, essendo l’unico paese marittimo a rifiutarsi persino di ratificare la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, non sarebbero nella posizione di muovere obiezioni. E di certo gli Stati Uniti non mitigano questi problemi nel momento in cui inviano una flotta navale in quelle acque o forniscono all’Australia una flotta di sottomarini nucleari per rafforzare la loro già schiacciante superiorità militare al largo delle coste della Cina. Tali questioni possono e devono essere affrontate dalle potenze regionali. Come nel caso dell’Ucraina, il problema per gli Stati Uniti è che non sono loro a dettare legge. E sempre come nel caso dell’Ucraina, gli Stati Uniti professano i loro alti principi nel fronteggiare la minaccia rappresentata dai cinesi: il loro ribrezzo per le violazioni dei diritti umani da parte della Cina, che pure sono senza dubbio gravi. Anche in questo caso non è troppo difficile valutare la sincerità di questa posizione. Un indicatore molto utile al riguardo sono gli aiuti militari inviati dagli Stati Uniti. In cima alla classifica troviamo due paesi che formano una categoria a parte: Israele ed Egitto. Quanto alle performance israeliane in materia di diritti umani possiamo fare riferimento ai dettagliati rapporti di Amnesty International e Human Rights Watch.

Le amorose relazioni tra Russia e Italia

https://www.agenzianova.com/a/0/1371597/2016-06-17/russia-italia-leonardo-finmeccanica-sigla-accordo-di-cooperazione-strategica-con-rosneft-e-russian-helicopters

https://www.affaritaliani.it/politica/schroder-sinistra-russia-putin-pd-imbarazzo-letta-putin-trieste-incontro-782659.html

https://www.affaritaliani.it/economia/enidiscorsopoli1303.html?refresh_cens

Le premesse dell’attuale conflitto ucraino

Presentiamo lettore due articoli molto significativi sulle origini dell’attuale conflitto in Ucraina.il primo tratto da Le Monde Diplomatique il secondo della riflessione di Eric Denécé

Ucraina 2004

di Ana Otašević  da Le Monde Diplomatique https://www.monde-diplomatique.fr/2019/12/OTASEVIC/61143

Abbiamo iniziato a parlare della creazione di Pora! [“È ora!”] Con i nostri colleghi serbi in un seminario a Vinnitsa [una città dell’Ucraina occidentale] nel dicembre 2003″ afferma il sig. Andriy Kohout, uno dei fondatori e capi del coordinamento regionale di questo movimento ucraino. “Volevamo costruire un’organizzazione simile a Otpor! In Serbia, Zubr [“buffalo”] in Bielorussia o Kmara! [“Basta! “] In Georgia, aggiunge. Abbiamo guardato cosa ha funzionato e cosa no. La Bielorussia è più vicina alla Serbia per dimensioni; l’Ucraina è molto più grande e non sapevamo se fosse applicabile in un paese più grande. Le dimensioni del paese sono molto importanti. »

Il movimento si sta organizzando alla vigilia delle elezioni presidenziali dell’autunno 2004, che vede il sig. Viktor Yanukovich, candidato nella linea del presidente Leonid Kuchma, al potere dal 1992, e candidato dell’opposizione, il sig. Viktor Yushchenko. “Abbiamo deciso di incontrare coloro che hanno svolto i ruoli principali a Otpor!, anche se il movimento ha insistito sul fatto che non c’erano leader. C’erano Srdja [Popović], Slobodan [Đinović] e gli altri lì “, dice Yaryna Yasynevych, un membro di Pora! Chi ha seguito i corsi di formazione Octopor! In Ucraina e Novi Sad, la capitale settentrionale della Serbia. “Abbiamo imparato come coordinarci in tutto il paese, come organizzarci, come gestire le pubbliche relazioni, come raccogliere fondi”, aggiunge. I soldi per la formazione, i viaggi e le attrezzature sono arrivati all’inizio della Westminster Foundation for Democracy. Era una fondazione britannica finanziata dall’Office of Foreign and Commonwealth Affairs. Ha pagato gli stipendi dei coordinatori. Ho ricevuto 300 dollari, ma non ho preso i soldi. Ho dato i soldi al movimento, perché avevo un lavoro nel mondo degli affari in quel momento. »

Le prime azioni sono state avviate nel marzo 2004 in sedici regioni. Gli attivisti ucraini lavoravano nell’ombra. “Nessuno sapeva chi fossero i leader di Pora! “, Insegue l’ex attivista. La campagna principale riguardava le elezioni presidenziali del novembre 2004. Pora! In collaborazione con “Znayu! (“Lo so! “Lanciato dal sig. Dmytro Potekhin, uno specialista di marketing e campagne politiche che ha lavorato per la Fondazione Soros. Ha anche gestito per la Fondazione USA-Ucraina la campagna finanziata dall’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale (USaid) per incoraggiare i giovani a partecipare alle elezioni. Insieme, hanno organizzato una rete di coordinatori in tutto il paese con fondi di questa fondazione (circa 1 milione di dollari) e Freedom House (circa 50.000 dollari). Hanno anche stampato, con l’aiuto dell’Albert Einstein Institution, dodicimila copie dell’opuscolo di Gene Sharp From Dictatorship to Democracy, solo attivisti Pora! Tradotto in ucraino.

L’opposizione in Ucraina ha ricevuto un significativo sostegno finanziario (circa 150 milioni di dollari) dagli oligarchi che rompevano con il signor Kuchma . Secondo il sig. Michael McFaul, ambasciatore degli Stati Uniti in Russia dal 2012 al 2014 e architetto di Mr. Barack Obama nella regione, secondo quanto riferito, il governo degli Stati Uniti ha speso più di 18 milioni di dollari per “promuovere la democrazia” nei due anni precedenti le elezioni. Considera la “rivoluzione arancione” come uno “spettacolare esempio di rottura democratica, o anche la più importante svolta democratica del decennio”

“Per una buona campagna, è necessario avere una buona ragione per dire che il potere è illegittimo”, afferma il sig. Potekhin. Tuttavia, c’era un grosso problema. “All’inizio del 2004, quando abbiamo iniziato a pianificare la campagna, non sapevamo chi sarebbe stato il candidato del governo. Abbiamo poi inventato il termine “Kuchmismo” per riferirci al sistema messo in atto dal presidente uscente Leonid Kuchma. E abbiamo lanciato la campagna con lo slogan: “Cos’è il kuchmismo? Paura, miseria, crimine”, spiega il sig. Kohout.

Sig. Potekhin incontra i signori. Aleksandar Marić e Siniša Šikman, due alunni di Ottopor! Arrivare in Ucraina attraverso Freedom House. Invita gli attivisti serbi per la sua campagna. “Ho colto al volo l’occasione per lavorare con loro. Sono stati la fonte di ispirazione, perché sono riusciti [a rovesciare Slobodan Milošević]. Il contesto è diverso in ogni paese, ma i principi sono gli stessi “, afferma il sig. Potekhin. Ora dirige le startup di sicurezza informatica FakesRadar e FakesKiller, che, con sede a Tallinn, sono supportate dal Ministero della Difesa estone e dal Center on Democracy, Development and the Rule of Law della Stanford University, specializzato nell’identificazione delle notizie false. Sig. Potekhin è anche un formatore di Rhize, una ONG americana con sede a New York e Nairobi, fondata nel 2016 dal sig. Ivan Marović, un alunno di Octopor!

Sig. Marić in seguito ha spiegato l’idea principale di questa campagna: “Dobbiamo preservare l’immagine di giovani belli, capaci e ambiziosi che combattono per il futuro del paese. Tutta la comunicazione deriva da queste caratteristiche. E se l’avversario finisse ancora per vincere? “Significherebbe solo che la popolazione non è pronta per i cambiamenti democratici (…). In questo caso, continueremmo il nostro lavoro. »

Il 21 novembre 2004, l’opposizione ha contestato il risultato del secondo turno delle elezioni presidenziali, favorevole al sig. Yanukovich. I manifestanti invadono Piazza dell’Indipendenza a Kiev (“Maïdan” in ucraino). La Corte Suprema annulla il voto e una nuova elezione vede la vittoria del candidato dell’opposizione, il sig. Yushchenko. “Prima della “Rivoluzione Arancione”, eravamo pronti ad organizzare una rete in grado di organizzare grandi manifestazioni a Maidan. C’erano circa duemila attivisti a Kiev; notevole forza. Ma non avevamo né l’ambizione né la forza di condurre un vero processo politico. Eravamo giovani e non avevamo abbastanza esperienza per svolgere un ruolo reale, spiega Yasynevych, che all’epoca aveva 23 anni. La situazione in Ucraina non era pericolosa durante la “rivoluzione arancione”, non come durante la rivoluzione serba o EuroMaïdan, dieci anni dopo, “continua.

“Nel 2014, ho capito che Otpor ci ha insegnato come gestire la sicurezza di fronte alla polizia! È stato utile per brevi campagne non violente, contro i regimi Kuchma o Milošević, ma non contro [Vladimir] Putin, né contro Yanukovich aiutato da Putin – non contro persone con esperienza KGB, che sono più abili, più pericolose “, dice Yasynevych, che è entrata in politica dopo il cambio di È stata capo di stato maggiore del ministro dell’Istruzione ucraino e da allora ha lavorato come consulente per il governo.

Pora! Ha seguito il modello di Ottoor! Fino alla fine – il movimento si è trasformato in un partito politico e si è candidato alle elezioni generali del marzo 2006 in Ucraina, dove ha ottenuto solo l’1,4% dei voti.

Ucraina 2014

di Eric Denécé https://cf2r.org/editorial/ukraine-le-monde-a-lenvers/

La situazione in Ucraina è davvero molto più complessa dei media che la presentano. Il paese è molto eterogeneo, storicamente, linguisticamente e religiosamente. Ricordiamo che i suoi confini attuali sono recenti, compresi i territori presi dalla Polonia (Galizia), quando Hitler e Stalin furono smembrati nel 1940, la Romania (1940) e la Cecoslovacchia (1945).

La parte orientale dell’Ucraina, a est del Dnepr, ha sempre vissuto sotto l’influenza russa. È parte integrante dell’impero dalla metà del XVII secolo (Trattato di Pereïaslav, 1654). La Crimea, conquistata sotto Caterina II, fu rapidamente russificata e divenne militarmente una provincia strategica, con il porto di Sebastopoli che offriva a Mosca uno sbocco per il Mar Nero. Questa regione, popolata in modo schiacciante da russi,

È stato restituito in Ucraina da Krusciov nel 1954, per motivi politici interni, il che è stato senza molte conseguenze finché esisteva l’URSS. Religiosamente, la Chiesa ortodossa, riconoscendo l’autorità del Patriarca di Mosca, è in gran parte predominante. Così, la maggioranza della popolazione orientale si dichiara visceralmente attaccata alla Russia con la quale ha una storia, una lingua e una religione comuni.

D’altra parte, la parte occidentale del paese non passò sotto l’influenza russa fino al 1793, dopo essere appartenenza al Regno di Polonia, dal XIV al XVIII secolo, e poi all’Impero austriaco, dal 1772. Non fu integrata nell’URSS fino al 1922, ma l’Ucraina transcarpatica rimase attaccata alla Cecoslovacchia fino al 1945. Questa parte occidentale si afferma molto filoeuropea e diffida profondamente della Russia, con la quale i suoi legami storici e culturali sono più tenui.

Dal 1928, l’Ucraina ha vissuto ore particolarmente buie dopo la politica di collettivizzazione della terra di Stalin (carestie, deportazioni, repressione che ha ucciso quasi otto milioni di persone), che ha generato risentimento duraturo nei confronti di Mosca e del regime comunista. Questo spiega perché molti ucraini si unirono alle formazioni paramilitari create e sostenute dal Terzo Reich dal 1930 (Organizzazione militare ucraina/UVO, Organizzazioni nazionaliste ucraine/OUN, Sezione ucraina dei fascisti russi/ROND, ecc.) e parteciparono all’invasione dell’URSS. Allo stesso modo, dal 1941, fu tra gli ucraini che i nazisti reclutarono il maggior numero di collaboratori nella loro lotta contro Stalin (Divisione Galizia), quasi a mantenere l’ordine in altri territori conquistati. Abbiamo visto di cosa erano capaci contro la resistenza bretone nel 1944.

Il paese è quindi profondamente diviso tra una parte occidentale con un forte trofismo europeo e un nazionalismo pronunciato, mentre a est, la maggioranza della popolazione, russofila e di lingua russa, difficilmente si sente ucraina.Questa bipolarizzazione si esprime in ogni elezione, come nelle elezioni presidenziali del 2004: il candidato filo-occidentale Viktor Yushchenko ha ottenuto oltre l’80% dei voti nelle regioni occidentali del paese, mentre il suo avversario Viktor Yanukovich ha ottenuto oltre l’80% dei voti in Oriente.

Anche un altro elemento deve essere ricordato. Dalla sua indipendenza nel 1991, l’Ucraina è stata guidata da élite che hanno saccheggiato coscienziosamente il paese, indipendentemente dalla loro affiliazione politica. Mentre è innegabile che il presidente Yanukovich fa parte di questa dinamica, è tutt’altro che l’unico: anche i leader della rivoluzione del 2004 e presentati come i più “democratici” hanno fatto ampio uso di se stessi. In particolare, Yulia Tymoshenko, la musa della rivoluzione arancione, l’ucraino “Jehanne d’Arc”, è un esempio edificante.

Questa imprenditrice, un vero oligarca che ha fatto fortuna nell’industria del gas (era presidente della Compagnie nationale de idrocarburi/SEUU) è stato coinvolto nella politica a metà degli anni ’90. Nel gennaio 2001, mentre era vice primo ministro dell’energia, è stata licenziata dal presidente Kuchma, accusata di “contrabbando e falsificare documenti”, per aver importato fraudolentemente gas russo nel 1996, quando era presidente di SEUU. Tymoshenko viene arrestato e condannato a diverse settimane di carcere. Poi, nel 2009, è stata condannata a sette anni di carcere per arricchimento illecito nell’ambito di contratti di gas firmati tra Ucraina e Russia. Se il suo internamento sotto il mandato di Yanukovich è certamente di utilità politica, in nessun caso è una detenzione arbitraria poiché le prove sono schiaccianti contro questa donna la cui immagine mediatica di purezza è l’opposto della realtà.

Come risultato di questa diffusa corruzione delle élite, il paese è ora in bancarotta e i suoi leader hanno bisogno di rimediare alla sua disastrosa situazione finanziaria. Paradossalmente, questo è ciò che Yanukovich, per quanto incompetente e corrotto possa essere, ha capito. Considerando che l’aiuto europeo proposto nell’ambito dell’accordo doganale da firmare nel novembre 2013 a Vilnius non era sufficiente (610 milioni di euro), il presidente ucraino ha chiesto che fosse aumentato a 20 miliardi di euro, che Bruxelles ha rifiutato. Inoltre, si è girato per rispondere favorevolmente all’offerta russa, con Mosca che gli ha offerto 15 miliardi di dollari in aiuti diretti e per continuare a dare al paese un prezzo molto basso per il gas naturale.

Oltre al suo appello finanziario, questa proposta non era incoerente perché la maggior parte del commercio dell’Ucraina è effettivamente con la Russia e i suoi settori strategici rimangono molto integrati nell’economia di questo paese con cui sono stati firmati più di 240 accordi.

È stata la prospettiva di questo nuovo accordo commerciale – non un’unione doganale – con la Russia che ha provocato reazioni da parte di partiti e attivisti nazionalisti occidentali, filo-occidentali e anti-russi. Ma il movimento “popolare” che ha preso forma nel novembre 2013 contro il presidente Yanukovich, con l’obiettivo dichiarato di rovesciarlo, ha violato – indipendentemente dalla legittimità della sua causa – tutte le regole democratiche a cui l’Occidente si riferisce. In effetti, ha commesso una serie di trasgressioni che i politici e i media sono stati attenti a non riferire alla nostra opinione pubblica.

– In primo luogo, la “rivoluzione” ha attaccato un presidente democraticamente eletto. Ricordiamo che Yanukovich ha vinto le elezioni presidenziali del 2010 dopo un processo elettorale ritenuto trasparente e onesto dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE). È quindi totalmente legittimo e legale, anche se è corrotto.

– I “rivoluzionari” hanno lanciato il loro movimento anche se le elezioni presidenziali si sarebbero svolte nel 2015. Ciò significa che se gli oppositori avessero rispettato il gioco democratico che rivendicano, sarebbe stato sufficiente per loro aspettare un anno prima di rimandare Yanukovich alle sue case e cambiare politica. Tuttavia, hanno preferito rovesciare illegalmente il regime un anno prima delle elezioni. Questa è una reazione spericolata e antidemocratica.

– Questa “rivoluzione” è stata caratterizzata da azioni estremamente violente da parte dei manifestanti, lontane dall’immagine delle parate pacifiche trasmesse dai media occidentali. Rapidamente, le armi sono entrate nel gioco e molti agenti di polizia sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco. La ragione è che gli elementi più attivi di questo movimento “rivoluzionario” erano l’estrema destra ultranazionalisti, anche i gruppi neonazisti (miligiani di Pravyi Sektor, UNA-UNSO, Svoboda, Tryzub,

“Martello bianco”, ecc.). Erano particolarmente ben addestrati e organizzati, il che ha permesso loro di prendere prigionieri membri addestrati delle forze di sicurezza. È stata quindi la violenza di alcuni che ha prevalso su quella di altri. Tuttavia, questi gruppi non hanno nulla in comune con i nostri valori europei di umanesimo, democrazia e tolleranza e molti dei loro leader si sono uniti al nuovo potere a Kiev. Eppure l’Occidente li ha sostenuti e continua a farlo…

– Inoltre, questa “rivoluzione” difende solo gli interessi di parte dell’Ucraina, quella dell’Occidente, filo-occidentale; trascura le voci di coloro che hanno eletto Yanukovich e che sono a favore dell’accordo commerciale con la Russia. Peggio ancora, viola i loro diritti più elementari. Infatti, non appena designato, il nuovo governo provvisorio ha immediatamente vietato l’uso del russo come seconda lingua ufficiale dell’Ucraina, mentre quasi il 30% della popolazione è di lingua russa (fino al 70% in Crimea). È una vera provocazione e una negazione del principio del rispetto delle minoranze.

Questa “rivoluzione” ha quindi caratteristiche sorprendenti: è illegale e antidemocratica, è stata particolarmente violenta, include una grande componente di estremisti ed è una minoranza nel paese. Questa è la causa sostenuta dall’Occidente. La “rivoluzione di Maidan” ha dato vita a un governo autoproclamato dalla strada senza alcuna legittimità diversa da quella delle cancellerie e dei media occidentali…

Inoltre, l’attuale crisi è in parte il risultato del desiderio dell’Unione europea di estendere ulteriormente la sua influenza a est e ridurre l’influenza della Russia sull’Ucraina. È stata lei ad accendere indirettamente l’incendio, anche se non è stata in grado di offrire a Kiev l’assistenza finanziaria che i russi le hanno offerto.

Inoltre, l’UE ha adottato un atteggiamento anti-russo sotto l’influenza della Polonia e dei paesi baltici, che hanno un pesante passivo con Mosca e hanno un significativo risentimento nei suoi confronti. Questi Stati hanno contribuito in modo significativo all’indurimento delle posizioni europee nei confronti della Russia, che non sono né nella tradizione né nell’interesse dei paesi dell’Europa occidentale. Ricordiamo di sfuggita che questi nuovi arrivati dall’Europa orientale sono feroci atlantisti: hanno seguito ciecamente gli americani nella loro invasione dell’Iraq nel 2003 e, nella maggior parte dei casi, preferiscono comprare armamenti americani che europei. A loro avviso, il sostegno di Washington è più importante di quello di Bruxelles.

Quindi, dietro un’UE credulone e strumentalizzata da pochi si trova la strategia americana. Dal crollo dell’URSS, Washington ha costantemente respinto l’area di influenza russa attraverso il doppio allargamento dell’Europa e della NATO. I media americani – indiscriminatamente ripresi dai loro colleghi europei – si impegnano in una vera propaganda anti-Putin, oscurando deliberatamente il quadro e dando una visione totalmente distorta della realtà di questo paese, in particolare della popolarità del suo presidente.

Abbastanza logicamente, di fronte a questa pseudo-rivoluzione e al dichiarato desiderio di ridurre l’influenza della Russia, Mosca non è rimasta insensibile.

Contrariamente a quanto affermato dalla maggior parte dei media, Putin non ha tenerezza per Yanukovich, che considera incompetente e corrotto, in gran parte responsabile dell’attuale crisi. Quindi non sostiene l’uomo. D’altra parte, il Cremlino non può accettare la situazione in Ucraina, sia in base al diritto internazionale che alla difesa dei suoi interessi.

Da un punto di vista legale, nonostante la propaganda dei media occidentali che presentano legittima la rivoluzione ucraina, Putin ha ragione quando dice che questo movimento non è altro che un colpo di stato illegale contro un regime democraticamente eletto. Il presidente russo ritiene che qualsiasi cambio di regime avrebbe dovuto avvenire in conformità con la costituzione ucraina, con le elezioni previste per il prossimo anno. Inoltre, qualunque sia lamentela contro di lui, continua a considerare Yanukovich come presidente legale del paese.

Ecco perché, quando Putin gli chiede aiuto, è difficile accettarlo. Lo fa ancora in conformità con le regole chiedendo al Parlamento russo di approvare “un uso dell’esercito in Ucraina” per proteggere i cittadini russi e le basi militari presenti nel paese. Allo stesso modo, quando il parlamento di Crimea – un organo legittimo e democraticamente eletto, che non riconosce il potere rivoluzionario di Kiev – propone un referendum per l’annessione alla Russia, Putin prende atto di questo approccio, che considera anche legale.

Militaremente, le strutture navali russe in Crimea sono di importanza strategica per Mosca perché sono il suo unico accesso al Mediterraneo, attraverso lo stretto turco. Senza il porto di Sebastopoli, la base di Tartus in Siria non sarebbe molto utile. Mosca ha circa 20.000 uomini in questa provincia a seguito di un accordo firmato nel 1997 con Kiev. Non c’è dubbio per lui di abbandonare il posto. Inoltre, parte dell’industria militare e spaziale russa rimane ancora situata in Ucraina, dove vengono prodotti in particolare gli aerei Antonov.

Infine, i problemi di identità non dovrebbero essere sottovalutati. Kiev è stata la capitale del primo stato russo nell’alto Medioevo e i russi, che hanno una lunga memoria, non hanno dimenticato come l’Occidente abbia costretto la Serbia nel 1999 a separarsi dalla sua storica provincia del Kosovo a favore di una popolazione più recentemente insediata su questo suolo.

Di conseguenza, non appena è stato nominato il nuovo governo ucraino, Mosca ha immediatamente adottato misure di rappresaglia economica. Gazprom ha annunciato che avrebbe posto fine al calo del prezzo del gas russo venduto all’Ucraina già ad aprile.

Una cosa è certa: la Russia non si preoccupa delle pratiche Soft Power per raggiungere i suoi obiettivi: non usa manovre di destabilizzazione tramite ONG e non si nasconde dietro un’azione intentata in nome dei cosiddetti “diritti umani” o della democrazia. Reagisce senza mezzi termini.

In occasione di questa crisi, l’atteggiamento dei paesi occidentali è caratterizzato da un interrogatorio molto forte della Russia, appartenente a un antisovietismo degno della guerra fredda.

Per la NATO, “ciò che la Russia fa in Ucraina viola i principi della Carta delle Nazioni Unite. Questo minaccia la pace e la sicurezza in Europa. La Russia deve fermare le sue attività militari e le sue minacce”, ha detto Anders Rasmussen il 2 marzo,

Il suo segretario generale. Poi Barack Obama ha dichiarato che il referendum previsto per il 16 marzo in Crimea, per decidere l’annessione alla Russia, era illegale. È stato immediatamente seguito da tutti gli europei.

La possibilità dell’intervento militare di Mosca in Ucraina ha anche dato origine a una serie di avvertimenti da parte di funzionari occidentali a Vladimir Putin. Oltre alle sanzioni economiche occidentali, la Francia ha indicato che vuole sospendere i preparativi per il prossimo vertice del G-8 che si terrà a giugno a Sochi “finché i nostri partner russi non torneranno a principi coerenti con quelli del G7 e del G8”, ha detto Laurent Fabius, ministro degli Affari esteri, il 2 marzo. “Condanniamo l’escalation militare russa e speriamo che la mediazione sia organizzata il prima possibile, direttamente tra russi e ucraini o attraverso l’ONU o l’OSCE”, ha aggiunto.

Il Regno Unito è sulla stessa linea. Il Canada e gli Stati Uniti hanno indicato che potrebbero decidere di non andare a questo vertice del G-8. L’amministrazione Obama è andata ancora oltre parlando dell’esclusione della Russia da questo organismo e minacciando Mosca di isolamento economico. “Nel 21° secolo, non puoi comportarti come il XIX secolo invadendo un altro paese con un pretesto totalmente fallace”, ha detto John Kerry, il capo della diplomazia americana.

Tuttavia, le minacce di sanzioni economiche e il boicottaggio del G8 di Sochi brandito dall’Occidente non impressionano Vladimir Putin. Crede che sarebbero controproducenti e danneggerebbero i loro iniziatori, perché in un “mondo contemporaneo in cui tutto è interdipendente, possiamo certamente danneggiare un altro, ma il danno sarà reciproco”. Gli inglesi lo hanno capito bene e non sembrano essere a favore delle sanzioni economiche contro Mosca. In effetti, molte aziende russe sono quotate nella City di Londra e i nostri vicini dall’altra parte della Manica hanno un vivo senso dei loro interessi.

La crisi Ucraina nell’interpretazione di Le Monde Diplomatique

In un interessante editoriale David Teurtrie su Le Monde Diplomatique https://www.monde-diplomatique.fr/2022/02/TEURTRIE/64373 esprime in modo lucido e provocatorio – provocatorio sia chiaro almeno per i numerosissimi analisti filo atlantici nostrani – una riflessione in controtendenza sulla questione ucraina .

Più volte gli Stati Uniti hanno minacciato di disconnettere la Russia dal sistema bancario globale.Ma la Russia a differenza di altre nazioni è stata previdente e ha saputo giocare di anticipo. Infatti

“dal 2014, le autorità russe hanno aumentato significativamente la capacità della loro economia di superare un grave shock, in particolare per il settore bancario e finanziario. La quota del dollaro è diminuita nelle riserve della banca centrale. Una carta di pagamento nazionale, Mir, è ora nel portafoglio dell’87% della popolazione. E, se gli Stati Uniti avessero portato avanti la loro minaccia di disconnettere la Russia dal sistema Swift occidentale, come hanno fatto per l’Iran nel 2012 e nel 2018, i trasferimenti finanziari tra banche e società russe potrebbero ora essere effettuati tramite messaggistica locale”.

Passiamo adesso all’atteggiamento del presidente Putin nei confronti del processo di allargamento : è evidente che il progetto Nato mira a trasformare l’Ucraina in una sorta di anti Russia nazionalista. Infatti da un lato l’attuale premier ucraino ha amplificato la politica di rottura con il mondo russo avvicinandosi sempre di più agli Stati Uniti e in secondo luogo ha rafforzato la cooperazione militare in ambito Nato .Per non parlare del fatto che la Turchia ha consegnato droni da combattimento che fanno temere in modo legittimo alla Russia che Kiev potrebbe tentare di riconquistare militarmente il Donbass.

Ma l’allargamento dell’alleanza atlantica-si domanda l’editorialista francese-era una cosa prevedibile, scontata? Tutt’altro. La scomparsa del patto di Varsavia infatti avrebbe dovuto determinare la dissoluzione dell’alleanza atlantica per essere sostituita con nuove alleanze come quella proposta dalla Francia. Ma così non è stato. Non solo l’alleanza atlantica non si è dissolta ma si è allargata verso est al fine di consolidare il dominio americano in Europa servendosi della Germania per riconquistare la propria influenza in Europa. E regie antiatlantico il antiamericane queste? Non proprio.

Come ricorda l’editorialista francese un analista americano non sospettabile certo le simpatie filocomuniste ,George Kennan, considerato l’architetto della politica di contenimento dell’URSS, prevedi le conseguenze logiche e dannose di tale decisione: “L’allargamento della NATO sarebbe l’errore più fatale nella politica americana dalla fine della guerra fredda. Ci si può aspettare che questa decisione susciti le tendenze nazionaliste, anti-occidentali e militaristiche dell’opinione pubblica russa; ravviva un’atmosfera di guerra fredda nelle relazioni Est-Ovest e diriga la politica estera russa in una direzione che non corrisponderà davvero ai nostri desideri “. Un monito questo completamente dimenticato e disatteso dagli Stati Uniti.

L’Intervento in Iraq da parte degli Stati Uniti, l’intenzione di installare infrastrutture militari nell’Europa orientale nonostante gli accordi siglati nel 97 hanno profondamente irritato non solo l’attuale premier russo ma hanno determinato un profondo senso di diffidenza e di sfiducia da parte della oligarchia politica e militare russa nei confronti degli Stati Uniti. Ma le provocazioni da parte di Stati Uniti-almeno secondo la lettura che ne dà le l’editorialista francese-non sono sempre finite qui: il ritiro degli Stati Uniti dal trattato sui missili balistici nel 2001 e il timore da parte russo-certamente fondato-che le rivoluzioni colorate arrivassero a destabilizzare tutto lo spazio post- sovietico allo scopo di creare regimi filoccidentali ha fatto il resto.E che dire quando nell’aprile del 2008 gli Stati Uniti hanno fatto di tutto per esercitare una forte pressione sui propri alleati allo scopo di fare rientrare la Georgia e guarda caso l’Ucraina nell’orbita atlantica? Cosa è successo poi nella realtà? La Russia è intervenuta militarmente in Georgia nel 2008 e ha riconosciuto l’indipendenza dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia. Con questo intervento militare che naturalmente ha violato il diritto internazionale sinè tuttavia fermato l’allargamento dell’alleanza atlantica. Ma nonostante il successo dell’intervento russo le ambizioni americane non si sono fermate come dimostra il fatto che nel 2013 gli Stati Uniti-sostenuti degli europei-hanno legittimato le manifestazioni spontanee-se così vogliamo esprimerci-che hanno portato alla caduta del presidente Viktor Yanukovich, la cui elezione nel 2010 è stata riconosciuta come conforme agli standard democratici.

Come puntualmente sottolinea la ricercatrice Isabelle Facon, la Russia “percepisce con fastidio il fatto che i paesi europei sono irrimediabilmente incapaci di autonomia strategica dagli Stati Uniti e che rifiutano di assumersi le proprie responsabilità di fronte al deterioramento della situazione strategica e internazionale “.

Se insomma siamo arrivati a questo punto-quasi ad un punto di non ritorno tra Russia e Ucraina-a voler essere non dico obiettivi ma quantomeno neutrale la responsabilità certo non è solo della Russia ma è soprattutto degli Stati Uniti e dei loro ambizioni egemoniche. Come sottolinea l’editorialista francese a conclusione del suo lungo articolo : “la crisi delle relazioni russo-occidentali dimostra che la sicurezza del continente europeo non può essere garantita senza – e a maggior ragione contro – la Russia. Washington, al contrario, sta lavorando per promuovere questa esclusione poiché rafforza l’egemonia americana in Europa. Da parte loro, gli europei occidentali, in primo luogo la Francia, mancavano di visione e coraggio politico per bloccare le iniziative più provocatorie di Washington e proporre un quadro istituzionale inclusivo per evitare la ricomparsa di linee divisorie “. Insomma ancora una volta manca un’Europa sul piano politico -militare.Ancora una volta l’Europa dimostra di essere dal punto di vista politico -militare una entità fantasma, suddita degli obiettivi a breve e a lungo termine degli Stati Uniti.

Politica estera americana e John Wayne

Sconsigliamo in primo luogo vivamente la lettura di questo articolo ai lettori filoamericani e filo atlantici che abbondano nel nostro paese a sovranità limitata ( o nulla).

In seconda battuta-non senza una certa provocatorietà-non possiamo fare a meno di osservare come il tanto sbandierato multilateralismo del presidente Biden e del segretario di Stato Blinken si sia rivelato-come era d’altra parte prevedibile-un bluff di carattere diplomatico: il multilateralismo inteso dagli Stati Uniti significa stringere alleanze sempre più strette di carattere economico e militare con i propri alleati per perseguire meglio gli obiettivi egemonici americani a livello globale.Ma certo non significa contrattare -su un piano di parità in ambito politico e diplomatico -con la Cina e con la Russia.Questo pseudo- multilateralismo sta gettando le premesse per un conflitto per la questione ucraina tra Russia e USA. Conflitto questo che coinvolgerebbe direttamente l’Europa e che avrebbe conseguenze incalcolabili, imprevedibili ma certamente gravissime ed insieme drammatiche. Un conflitto questo che deve essere assolutamente scongiurato.A tutti i costi .

Al di là della irrilevanza-consueta quanto prevedibile-sia dell’Unione Europea che dell’ONU ciò che Putin ha sostanzialmente chiesto agli Stati Uniti e alla Nato è di fermare l’allargamento dell’Alleanza ai paesi dell’est e soprattutto di smettere di continuare ad armare l’Ucraina in funzione antirussa.Si tratta di rispettare la sovranità territoriale della Russia.Ma si tratta anche di abbandonare la consueta politica unilaterale americana secondo la quale sarebbero Stati Uniti-come nei film western americani- gli unici sceriffi che possono legiferare sul mondo decidendo cosa è giusto e cosa non lo è. La politica estera americana è stata troppo spesso ispirata al modus operandi dei film interpretati dall’attore John Wayne. Non sei d’accordo con me? Ti sparo addosso!

Ci domandiamo con quale credibilità gli Stati Uniti possono pretendere di affrontare un conflitto con la Russia dopo il fallimento sia in relazione alla situazione della Crimea sia in relazione all’Afghanistan. Ancora una volta le lezioni del passato non hanno insegnato nulla agli Stati Uniti. Per quanto riguarda l’Ucraina l’attuale presidente invece di continuare ad acquistare armi dagli Stati Uniti farebbe bene a cercare di risolvere la gravissima situazione nella quale versa il suo paese: la situazione economica infatti è catastrofica nonostante sia stato dato un prestito di 5 miliardi di dollari dal FMI nel 2000 a cui poi se ne è aggiunto un secondo 750 milioni di dollari per evitare che l’Ucraina vada in default .Inoltre il calo di popolarità del presidente americano potrebbe portarlo a fare scelte molto pericolose

per non apparire debole agli occhi degli elettori e dei repubblicani .Se Putin dovesse spuntarla questo certamente equivarrebbe alla fine ingloriosa della politica neo conservatrice e delle sue nefaste conseguenze a livello di equilibrio internazionale.

La Francia e la guerra di informazione in Mali

Sedici pannelli e almeno 576 trasmissioni giornaliere. Da ottobre, gli spazi pubblicitari digitali nella capitale del Mali hanno portato un messaggio intrigante. Tra una pubblicità per un karaoke e la pubblicità per un piano mobile parade pittogrammi di soldati e veicoli blindati supportati dagli slogan “Barkhane trasforma”, “Insieme”. Una novità per l’operazione militare francese, che trasmette il suo messaggio su diversi incroci trafficati a Bamako, e si è persino invitata su tre canali televisivi, l’ORTM – televisione pubblica maliana, la più guardata del paese -, Joliba TV e Renewal TV.

Mentre le immagini dell’intervento francese in Mali si susseguono, il breve video ricorda l’essenza dell’operazione e divulga le linee principali della sua ristrutturazione, prevista per il 2022. In un contesto di musica guerresca , i “tre pilastri” dell’operazione Barkhane (“partenariato di combattimento”, “riassicurazione” e “cooperazione”) lasciano quindi il posto a un promemoria numerico: da 2.500 a 3.000 soldati francesi (rispetto ai 5.100 oggi), “dotati di mezzi efficienti”, costituiranno la “nuova forza”.

Apparso sugli schermi del Mali pochi giorni dopo il veemento discorso del Primo Ministro di Transizione, Choguel Maïga, all’ONU, che ha accusato la Francia di “abbandono a metà volo”, lo spot suona come una risposta alla lite diplomatica attualmente infuriata tra Parigi e Bamako. “Si potrebbe davvero credere che questo incarico arrivi in reazione alle dichiarazioni del Primo Ministro del Mali, ma è stato deciso molto prima delle sue osservazioni sulla Francia.

La campagna risponde soprattutto alla nuova strategia adottata dal Ministero delle Forze Armate: “guerra dell’informazione”. Guidato dal nuovo capo di stato maggiore della difesa, Thierry Burkhard, succeduto a François Lecointre nel luglio 2021, l’esercito francese intende rafforzare la sua dottrina sulla “lotta informatica per l’influenza”. Un gergo che si riferisce alla lotta “contro la propaganda terroristica e la manipolazione delle informazioni, ovunque nei teatri operativi in cui agiscono gli eserciti francesi”, ha riassunto il ministro degli Esteri francese Florence Parly il 20 ottobre, presentando la nuova dottrina e annunciando un rafforzamento delle attrezzature e delle risorse umane dedicate alla lotta per l’influenza.

Una “lotta informativa”, o “guerra delle percezioni”, che dovrebbe “vincere la guerra prima della guerra”, dice il generale Burkhard. “Abbiamo vissuto vent’anni durante i quali la logica era l’impegno sul campo, ma oggi non è più l’unica soluzione”, ha martellato alla stampa il 5 ottobre.

In Mali, lo staff degli eserciti francesi intende combattere le fake news, mentre i social network spesso trasmettono accuse di sbavature e sospetti su un’agenda nascosta della Francia, “sccheggio delle risorse”. Il colonnello Raphaël Bernard, che vi ha prestato servizio tre volte tra il 2015 e il 2020, ricorda una campagna di disinformazione condotta nel 2019, mentre era di stanza a Gao. All’epoca, tredici soldati francesi furono uccisi nello schianto di due elicotteri. “Siamo stati accusati sui social network di simulare queste morti per trasportare oro nelle bare. Questo è indecente per i nostri soldati uccisi in combattimento, ma mina anche la nostra credibilità e legittimità sul campo “.

Attraverso comunicati stampa, newsletter e display ora pubblicitari , “la sfida è impedire che una narrazione parziale o falsa si inserisca nell’opinione pubblica”, spiega Pascal Ianni, che aggiunge che “anche nella Repubblica Centrafricana, la Francia e l’Unione europea devono affrontare campagne di disinformazione molto virulente, condotte in particolare da gruppi influenti probabilmente vicini alla Russia »

Ma anche se i messaggi dell’operazione Barkhane martellano la sua intenzione di rimanere alla televisione maliana, Parigi brandisce la minaccia di un ritiro delle truppe mentre si gonfia la voce dei negoziati tra Bamako e il gruppo paramilitare russo Wagner. “Il discorso militare e politico della Francia è antagonista. Emmanuel Macron, Jean-Yves Le Drian e Florence Parly non hanno una posizione chiara: vogliamo andarcene, vogliamo rimanere? Chiude Niagalé Bagayoko, Presidente della rete del settore della sicurezza africana. Quindi scommettiamo sulla comunicazione militare, a rischio di vedere la forza militare francese diventare il ricettacolo per le critiche alla politica francese”. Secondo questo specialista in questioni di sicurezza in Africa occidentale, “la campagna sembra derivare da una concezione abbastanza datata del ruolo dello strumento militare e dal mito che l’uso della forza sia l’attributo supremo del potere politico”.

“Crediamo di essere in operazioni psicologiche, in guerra dell’informazione, ma sembra che siamo più nel registro della promozione pubblicitaria, che è controproducente”, aggiunge. L’operazione Barkhane, compresa tra l’agenda elettorale del capo di Stato francese, che dovrebbe candidarsi per un nuovo mandato nell’aprile 2022, e l’equilibrio di potere tra Parigi e Bamako, mantiene così una comunicazione dettata dalla realtà sul campo, anche se significa non attenersi interamente a quella dell’esecutivo francese. Tuttavia, è su richiesta dell’ambasciata francese in Mali che il messaggio iniziale “La Francia rimane nel Sahel”, delicato in un momento in cui alcuni accusano la Francia di neocolonialismo, ha lasciato il posto allo slogan “Insieme”, molto più consensuale. »

Tranne che per alcuni osservatori, la nuova strategia di comunicazione degli eserciti francesi in Mali è simile a “pubblicità clubbing”. “I dibattiti sono più efficaci di questi punti”, dice il caporedattore di una stazione radio del Mali, che dice di aver invitato i rappresentanti di Barkhane a discutere sui suoi set, senza successo. “Le stazioni radio sono una staffetta molto più efficace in un paese in cui il tasso di analfabetismo è così alto e dove la cultura dell’oralità è molto importante. Sono il primo riflesso a informarsi. Quanti maliani si fermano davanti ai cartelloni pubblicitari? Quanti capiscono anche cosa c’è scritto lì? “, interroga Massiré Diop, un giornalista del quotidiano L’Indépendant.

“La dottrina di conquistare cuori e spiriti è ormai obsoleta”, aggiunge Niagalé Bagayoko. Deriva sia dalle esperienze di Lyautey e Gallieni alla fine del XIX secolo che all’inizio del XX secolo, conclusioni tratte da teorici come Trinquier e Hogard dopo la sconfitta indocinese, dall’idea di inserimento nell’ambiente di intervento sviluppata alla fine degli anni ’50 in Algeria da Galoula. Molti teorici militari – tra cui recentemente gli americani in Afghanistan – hanno trovato interessante continuare a trarre ispirazione da questi approcci. Ma all’epoca, gli insorti volevano conquistare il potere quando i loro avversari cercavano di preservare il loro impero. Oggi non siamo più in tali configurazioni, ma in un ambiente di sovranità in cui le persone intendono affermare il loro diritto di essere protette e non accettano la manipolazione della loro intelligenza e dei loro sentimenti. »

Se è difficile immaginare che questo tipo di operazione di comunicazione possa riportare la capitale del Mali al tempo delle manifestazioni spontanee che celebrano l’operazione Serval e François Hollande, in che modo la “guerra dell’informazione” francese influisce sul teatro delle operazioni? Per rispondere a questa domanda vedremo quale situazione si verificherà in Mali su medio breve termine. Solo così potremmo giudicare con la prova dei fatti l’efficacia o meno di questa guerra dell’informazione posta in essere dai francesi in Mali.

Macron,Putin e il Mali

Durante la loro intervista telefonica, è stata discussa principalmente la crisi migratoria al confine Bielorussia-Polonia, Emmanuel Macron e Vladimir Putin hanno anche discusso la questione Wagner in Mali. Come nelle loro precedenti discussioni sull’argomento, il Presidente francese ha invocato l’arrivo di mercenari russi a Bamako e ha ribadito che un tale scenario avrebbe avuto gravi conseguenze.

La sua controparte russa ha ripreso ancora una volta i suoi elementi linguistici: Wagner è una società privata che risponde a una logica di mercato che il Cremlino non controlla. Ma a Parigi, l’ipotesi di uno sbarco della compagnia in Mali continua ad essere presa sul serio.

Agli occhi dei funzionari francesi, la giunta al potere a Bamako intende davvero concludere un tale accordo.

Il 12 novembre Wagner e Mali erano già stati oggetto di discussione in un mini-vertice dedicato alla situazione nel Sahel, organizzato all’Eliseo a margine del Forum di pace di Parigi. Roch Marc Christian Kaboré, Mohamed Bazoum e Mahamat Idriss Déby Itno sono stati poi invitati da Emmanuel Macron. Tuttavia, nessun funzionario maliano o mauritano aveva fatto il viaggio nella capitale francese.

I tre capi di Stato saheliani hanno poi sottolineato l’indebolimento del loro partenariato per la sicurezza con Bamako. In linea con la posizione dell’ECOWAS, hanno anche espresso le loro preoccupazioni per il possibile arrivo di Wagner in Mali. Preoccupazione che anche hanno espresso direttamente ad Assimi Goitta come la maggior parte degli altri presidenti dell’Africa occidentale.

È stata anche discussa la questione del battaglione ciadiano della forza congiunta G5 Sahel con sede a Tera, Niger. È stato sottoccupato nelle ultime settimane, in particolare a causa di problemi di supporto logistico. Macron, Bazoum, Kaboré e Déby Itno hanno quindi accettato di trovare soluzioni per renderlo operativo.

Infine, Emmanuel Macron ha discusso del Sahel l’11 novembre con Kamala Harris, che ha ricevuto a lungo all’Eliseo. Il vicepresidente degli Stati Uniti ha ribadito la volontà degli Stati Uniti di lavorare nella regione, in particolare in termini di intelligence. La questione del sostegno delle Nazioni Unite al G5 Sahel, a cui Washington si oppone, è stata affrontata anche dal presidente francese e dal suo ospite.

Il 15 settembre, il ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian ha annunciato che l’Unione europea (UE) seguirà l’ECOWAS e applicherà sanzioni contro lo Stato del Mali. “C’è una volontà comune di decidere il quadro giuridico delle sanzioni che saranno attuate contro Wagner e coloro che lavorano con esso”, ha aggiunto.

Il budget del Pentagono

È finalmente arrivato al congresso americano il National Defense Authorization Act, o NDAA, che stabilisce la politica per il Pentagono su una serie di aree, tra cui quanti fucili e navi dovrebbe acquistare, gli stipendi dei soldati e il modo migliore per affrontare le minacce geopolitiche. https://www.congress.gov/bill/117th-congress/house-bill/4350/text

Arriva mesi dopo che la Camera ha approvato la sua versione di un disegno di legge sulla politica di difesa di 768 miliardi di dollari per l’anno fiscale 2022.

In particolare il documento indirizza i funzionari della difesa e dell’intelligence a dettagliare come proteggere l’Afghanistan da potenziali minacce terroristiche.

La versione del Senato del disegno di legge sulla politica di difesa per l’anno fiscale 2022 è stata introdotta da Sens. Jack Reed (D-R.I.), presidente del Comitato per i servizi armati, e Jim Inhofe (R-Okla.), membro del comitato repubblicano in classifica, a settembre. https://www.reed.senate.gov/news/releases/under-leadership-of-chairman-reed-senate-armed-services-committee-advances-2022-defense-budget.Un aspetto estremamente significativo è la volontà da parte del congresso americano di affiancare a questo progetto anche l’ Innovation and Competition Act (USICA), che con un investimento di 52 miliardi di dollari intende incrementare la produzione di semiconduttori negli Stati Uniti e autorizzare una spesa di 190 miliardi di dollari per rafforzare la tecnologia e la ricerca statunitensi per competere con la Cina. https://www.congress.gov/bill/117th-congress/senate-bill/1260

Queste norme giuridiche serviranno a rafforzare la produzione americana, sistemare le catene di approvvigionamento e investire nella prossima generazione di ricerca tecnologica all’avanguardia in funzione di contenimento anticinese .

Francia e Nigeria

Secondo https://www.jeuneafrique.com/1267867/economie/nigeria-france-comment-totalenergies-sappuie-sur-un-richissime-prince-pour-etendre-sa-presence/

’11 novembre, l’uomo d’affari nigeriano Arthur Eze ha incontrato in Francia il direttore africano del ramo di esplorazione e produzione del gigante petrolifero francese TotalEnergies, il franco-Gabonais Henri-Max Ndong-Nzue

Arthur Eze, che ha finanziato il Partito Democratico Popolare di Goodluck Jonathan era già venuto in Francia , dove ha partecipato al Forum di pace di Parigi insieme a Emmanuel Macron e al vicepresidente degli Stati Uniti, Kamala Harris. Questo dimostra il ruolo centrale per la Francia della Nigeria sia dal punto di vista politico. Non dimentichiamoci infatti che in Nigeria la produzione del gruppo francese ha raggiunto 100 milioni di barili di petrolio equivalente, più delle sue estrazioni combinate in Angola (78 milioni) e Gabon (10 milioni).