Mattia Micheli Gioele L’artiglio del dragone

Gagliano Giuseppe La guerra economica costa cara-Limes maggio 2022

https://www.limesonline.com/cartaceo/la-guerra-economica-costa-cara-ma-rende

Intelligence finanziaria ed estrema destra

Un documento pubblicato il 26 ottobre dal gruppo di lavoro sullo scambio di informazioni (IEWG) del gruppo Egmont, un organismo che riunisce i servizi di intelligence finanziaria della maggior parte dei paesi del mondo, ha pubblicato un documento che è frutto del lavoro di Tracfin. https://egmontgroup.org/en/content/fius-capabilities-and-involvement-fight-against-financing-extreme-right-wing-terrorism-iewg

Il documento, che mira a presentare possibili modi per i servizi di intelligence finanziaria per tenere traccia più da vicino i circuiti finanziari utilizzati da gruppi violenti di estrema destra, è stato per lo più scritto da Alice B.-L., consulente politico di Tracfin. https://www.economie.gouv.fr/tracfin/role-tracfin

È fortemente coinvolta in questioni multilaterali e partecipa, ad esempio, alle riunioni di Moneyval, il gruppo del Consiglio d’Europa per la valutazione delle misure contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo. La relazione presentata dalla Francia, che cerca da diversi anni di rafforzare la sua presenza negli organismi di cooperazione internazionale che si occupano di intelligence finanziaria è stata scritta in stretta collaborazione con l’unità olandese di intelligence finanziaria.

La relazione ha coinvolto anche l’Interpol e i servizi di intelligence finanziaria di una dozzina di paesi, la maggior parte dei quali europei. Sebbene il presidente Joe Biden abbia fatto della lotta contro il “terrorismo interno” di estrema destra una priorità, in particolare dopo l’attacco del 6 gennaio al Campidoglio, gli Stati Uniti non vi hanno contribuito.

Oltre alle priorità tradizionali – combattere il separatismo islamista e il finanziamento straniero predatorio -Tracfin è alla ricerca da diversi anni della origine del finanziamento di gruppi violenti di estrema destra. Ha indagato sui legami finanziari tra il movimento francese di estrema destra Génération Identitaire https://www.liberation.fr/politique/dissous-il-y-a-huit-mois-generation-identitaire-est-de-retour-a-bas-bruit-20211020_XO3OEYPR5RAZHBR5XVXRRR4XXQ/

e Brenton Tarrant, https://www.reuters.com/world/asia-pacific/new-zealand-mosque-shooter-considers-appealing-life-sentence-2021-11-08/

che ha effettuato l’attacco di Christchurch il 15 marzo 2019. L’allora direttore di Tracfin, Bruno Dalles, interrogato dai membri del parlamento francese un mese dopo, spiegò all’epoca che Tarrant era un membro dell’organizzazione.

Eni: chi sono gli uomini chiave dell’espansione della multinazionale petrolifera in Africa

Attraverso quali uomini la nostra multinazionale petrolifera Eni è in grado di attuare la propria politica di proiezione di potenza energetica in Africa? A questa domanda risponde con estrema lucidità il periodico francese la Jeune Afrique https://www.jeuneafrique.com/1252972/economie/petrole-la-galaxie-italo-africaine-de-claudio-descalzi-directeur-general-deni/
Il primo uomo Eni è Alessandro Puliti il capo della potente divisione “risorse naturali” di ENI, che copre tutte le attività estrattive (petrolio, gas ed energie rinnovabili) è infatti considerato il numero due del gruppo.
Il secondo esponete Eni è Guido Brusco, ex capo della filiale angolana e poi di esplorazione e produzione subsahariana .
Il terzo esponente che la rivista africana prende in considerazione è Antonio Panza che monitora la regione nordafricana dell’ENI dal 2017. Questo ingegnere minerario, che ha trentacinque anni di esperienza nell’esplorazione e nella produzione, è stato anche CEO delle filiali libiche ed egiziane dallo stesso anno.
Il quarto uomo è invece Luca Vignati che è capo della regione dell’Africa subsahariana dell’ENI. Ingegnere minerario che ha attraversato le filiali di Congo, Nigeria, Libia e Tunisia, in precedenza era a capo dei negoziati commerciali del gruppo.
Affinché la nostra multinazionale possa ramificarsi in modo capillare nell’Africa e riuscire a battere la concorrenza agguerrita dei francesi, inglesi e americani deve poter contare anche su uomini del posto. Ebbene il periodico francese indica
nel libico Fuad Krekshi un uomo chiave : costui infatti pilota l’area del Medio Oriente, dell’Estremo Oriente e del Nord Africa ed ed è stato un ex dirigente della Libyan National Oil Corporation. Il secondo uomo sul quale può fare affidamento Eni è invece Abdulmomen Arifi che gestisce la filiale del gruppo Descalzi in Libia dal 2019, da dove proviene. Questo ingegnere petrolifero, ha lavorato in particolare al megaprogetto egiziano di Zohr, entrato in produzione a tempo di record. Un altro protagonista dell’affermazione di Eni è una donna: si tratta della nigeriana Callista Azogu ex direttore generale responsabile delle risorse umane e dell’organizzazione della Nigerian Agip Oil Company (NAOC), la filiale di ENI dedicata alla produzione di petrolio nel Delta del Niger.
Un altro uomo chiave nello scacchiere africano per Eni è il Vicedirettore generale dell’ENI Angola dal 2014 e vicepresidente della regione dell’Africa subsahariana per il petrolio a monte dal 2018, l’angranea João Maria Da Silva Junior un ingegnere petrolifero specializzato nell’esplorazione, in particolare nel suo paese natale e in Nigeria.
Per quanto riguarda il Congo un ruolo tutt’altro che marginale è rivestito dalla moglie di Claudio Descalzi Marie Magdalena Ingoba che ha gestito la filiale di ENI a Brazzaville dal 1994 al 1998.
Altrettanto rilevanti per la nostra multinazionale sono i legami con la politica italiana. Lo dimostrano due semplici dati: da un lato Lapo Pistelli responsabile delle relazioni pubbliche e istituzionali internazionali dell’ENI dal 2017 ,Vice Ministro degli Affari Esteri italiano dal 2013 al 2015, ex eurodeputato del Partito Democratico di Matteo Renzi.Dall’altro lato Paola Severino Ministro della Giustizia italiano dal 2011 al 2013 nel governo di Mario Monti che in qualità di avvocato ha difeso Claudio Descalzi nel processo OPL245 a Milano.
Nel contesto dell’imprenditoria italiana Emma Marcegaglia è un punto di riferimento importante per il nostro amministratore delegato. Infatti la Marcegaglia è stato il presidente del Consiglio di amministrazione Eni dal 2014 al 2020 e attualmente è
a capo del B20 – un gruppo che riunisce i rappresentanti dei datori di lavoro dei paesi del G20 – presieduto quest’anno dall’Italia, che ha fatto guarda caso dell’aumento degli scambi economici con l’Africa una priorità.
Al di là delle commoventi riunioni internazionali sul cambiamento climatico la multinazionale italiana preleva circa 1 milione di barili di equivalente petrolio al giorno dal sottosuolo africano in una quindicina di paesi, ponendolo davanti a TotalEnergies, a circa 900.000 barili al giorno. Con buona parte di Greta Thunberg.
A parte questi dati che per quanto asettici sono comunque di estrema rilevanza che cosa sta facendo in questo momento Eni in Africa ?
Il direttore generale si è recato ad Abidjan all’inizio di ottobre annunciando un’importante scoperta stimata in oltre 1,5 miliardi di barili di petrolio nell’offshore ivoriano,dove Eni inizierà la produzione già nel 2024. Un altro viaggio di estremo interesse è stato compiuto ad Algeri dove Eni sta stringendo legami sempre più forti con la multinazionale algerina Sonatrach con l’obiettivo di ottenere l’approvazione delle autorità per l’acquisizione delle attività di BP in Algeria, attualmente in discussione.

La guerra dei cavi sottomarini

Secondo i documenti forniti dall’informatore Edward Snowden al quotidiano Der Spiegel, la National Security Agency (NSA) degli Stati Uniti nel febbraio 2013 ha introdotto un virus informatico nel cuore del sito di amministrazione e gestione di SEA-ME. cavo che trasporta comunicazioni telefoniche e Internet da Marsiglia al Nord Africa, al Vicino Oriente e al Sud-est asiatico .Per la Nsa Marsiglia è addirittura uno dei principali punti di intercettazione al mondo.

A partire dal 2001 Washington è diventata la conduttrice dei cinque occhi (“cinque occhi”) nella cattura di comunicazioni passanti su cavi – si parla di “cavo intercettazione” – effettuata utilizzando sonde poste a grandi punti di atterraggio sul pianeta con il aiuto degli operatori. I servizi americani conducono operazioni mirate di intelligence politica (governi, ambasciate) ed economica. Negli ultimi anni, ad esempio, abbiamo assistito all’intercettazione in Honduras di un cavo che serve un resort dove si incontrano attori economici globali, del settore automobilistico e dell’industria alimentare. O il collegamento del Centro Internazionale di Fisica Teorica di Trieste, che forma scienziati di tutto il mondo in campo nucleare .

Da parte dei partner britannici, abbiamo lo stesso modus operandi. Nel 2012, il Government Communications Headquarters (GCHQ), il servizio governativo responsabile del monitoraggio delle telecomunicazioni, ha utilizzato i cavi per recuperare cookie (cookie) dai dipendenti dell’operatore belga Belgacom per infiltrarsi nella rete dell’azienda, che fornisce in particolare i suoi servizi alle amministrazioni europee .Nel 2014 i francesi hanno appreso che i servizi britannici accedono ai clienti Orange dal 2011.Infatti i servizi britannici sospettavano che il gruppo Iliad avesse stretto un accordo con il Mossad. Il GCHQ, attraverso Orange, potrebbe misurare le variazioni di flusso sui cavi e determinare se stava accadendo qualcosa tra Francia e Israele: accordi commerciali, collaborazione, qualsiasi operazione… sconcertante? Al contrario… È una procedura normale… Fra alleati.

Dopo le rivelazioni di Mr. Snowden, i paesi europei sono indignati, la Francia in testa. Una nota aggiornata da Snowden mostra che nel 2009 la Direzione generale per la sicurezza esterna (DGSE) sta intensificando la cooperazione con GCHQ nel perseguire massicce intercettazioni violando i sistemi di crittografia forniti da fornitori privati.Cinque cavi sono stati intercettati tra il 2008 e il 2013 con l’aiuto di Orange.

Le leggi sull’intelligence approvate nei paesi dell’OCSE [Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico] dopo l’affare Snowden hanno reso più facile la raccolta dei dati, che è solo cresciuta.

I cavi sottomarini dipendono dalle comunicazioni, dai flussi finanziari, dall’accesso ai dati archiviati in remoto (il “cloud”, in inglese cloud). Il controllo di questi flussi costituisce oggi un’immensa leva di influenza geoeconomica per gli Stati. Un altro Paese lo ha capito bene: la Cina. L’8 aprile 2010, secondo un rapporto del Congresso degli Stati Uniti, Pechino ha deviato e-mail da o verso siti del Senato, del Dipartimento della Difesa, del Commercio o della Nasa ai suoi server per diciotto minuti.Nel giugno 2019, gli ingegneri di Oracle hanno scoperto che un grande volume di traffico europeo da Bouygues Telecom e SFR è stato reindirizzato per due ore in Cina.

Meglio ancora: la Repubblica Popolare spinge direttamente le sue imprese statali a controllare il livello fisico del cyberspazio. Infatti Lo stato cinese ha avuto un posto d’onore nei consorzi asiatici attraverso China Mobile, China Telecom e China Unicom. In generale, il grande spostamento del traffico Internet verso l’Asia ha portato gli Stati asiatici (Cina, Thailandia, Singapore) a pesare maggiormente sui cavi: dal 2010 hanno erogato in media il 9% degli investimenti, contro l’1% tra il 1987 e il 2010. Al di là della sua influenza regionale, la Cina sta investendo in progetti localizzati in aree strategiche, come il Canale del Nicaragua, la cui concessione riguarda anche i cavi Internet, o il collegamento al continente europeo via Marsiglia tramite il primo collegamento in fibra ottica.La prospettiva cinese tra Francia e Asia, chiamato Pakistan e Africa orientale che collegano l’Europa (Pace). Tra il 2016 e il 2019, le aziende cinesi hanno partecipato al 20% delle costruzioni di cavi, di cui oltre la metà al di fuori del Mar Cinese Meridionale, in particolare nei paesi emergenti

Scontata la contrarietà ferma di Washington.Nel 2013, gli Stati Uniti avevano già fatto fallire il dispiegamento di un cavo transatlantico New York – Londra, a cui avrebbe partecipato la società cinese Huawei Marine. Nel 2020, la Federal Communications Commission (FCC) richiede a Google e Facebook di non collegare Los Angeles a Hong Kong, come inizialmente previsto dal loro progetto. I giganti della Rete si piegano. Ufficialmente, l’amministrazione Usa accusa il terzo membro di Hong Kong del consorzio, Pacific Light Data Communication, di collaborazione con l’intelligence cinese. Ma dietro questa operazione si nascondono obiettivo anche di natura economica: infatti quest’operazione è servita soprattutto a

indebolire il centro finanziario di Hong Kong in un contesto in cui potrebbe avvicinarsi a Shanghai e soppiantare Londra.

Per quanto riguarda il cavo di Pace , il governo degli Stati Uniti ha esercitato pressioni fortissime .Nell’ottobre 2020, Peter Berkowitz, direttore dell’organo di pianificazione del Dipartimento di Stato, ha incontrato i consiglieri del Presidente della Repubblica e i rappresentanti dei ministeri degli affari esteri e delle forze armate. Presenta loro un rapporto preoccupante sulle ambizioni globali della Cina nella posa dei cavi e mette in guardia sui rischi dello spionaggio. Dobbiamo sorprenderci per questo modo di operare? No.Se sei Microsoft o Amazon, e i tuoi concorrenti in Europa siano aziende come Outscale o OVH, non temi molto. Ma con Alibaba e Tencent è un’altra storia.

Gli Stati Uniti stanno intervenendo sempre di più sui cablogrammi nel contesto della loro guerra commerciale con la Cina. Ma nel 2018 avevano già fatto pressione sull’Australia e fatto rifiutare al Paese di consentire a Huawei di finanziare l’installazione di un cavo tra Sydney e le Isole Salomone. Questa interferenza contribuisce a un vasto programma americano che l’ex segretario di Stato Michael Pompeo ha chiamato Clean Network. La “purga” americana aveva diverse componenti: il divieto di operatori cinesi (come China Telecom) o alcune applicazioni (TikTok, per un periodo preso di mira da Mr. Donald Trump) nel Paese, riducendo la quantità di dati archiviati in remoto in Cina e ovviamente ripulire la rete via cavo escludendo i giocatori cinesi.

Le infrastrutture Internet rappresentano per Pechino un mezzo per garantire interessi vitali. Con quasi il 20% della popolazione mondiale per il 10% di terra coltivabile, la Cina finanzia infrastrutture tecnologiche al di fuori del suo territorio per accedere alle materie prime, e in particolare alle risorse alimentari. China Unicom, ad esempio, ha investito in un cavo tra Camerun e Brasile in cambio dell’accesso alle zone di pesca La strategia cinese via cavo, orientata a soddisfare la domanda interna, supporta sempre più una proiezione della sua economia digitale all’estero, in Francia, in Africa e per un periodo più lungo in Asia. Queste sono state chiamate le “vie della seta digitali”. Tuttavia Pechino non è infallibile: infatti per esempio ha fallito anche di recente la posa di tre cavi in parte finanziati da Google che avrebbero dovuto collegare Hong Kong al Giappone, Singapore e Filippine.

Anche altri paesi stanno cercando di tenere a bada gli Stati Uniti, come Cuba. In cambio, gli americani hanno vietato a qualsiasi cavo che tocca la Florida (quasi tutta la fibra latinoamericana) di collegarsi all’isola. Pochi mesi dopo le rivelazioni di Snowden, il governo di Dilma Rousseff ha presentato il progetto via cavo EllaLink, tra Brasile e Portogallo, come un modo per aggirare gli Stati Uniti e ripristinare la sovranità digitale del Brasile. Un’ambizione condivisa dalla Russia, che, sta trasferendo i propri data center. A fine 2019, il 60% dei suoidati era ancora archiviato all’estero.

Ma anche le infrastrutture di telecomunicazione in fibra ottica sono vettori di influenza economica. Questa doppia proprietà li pone al centro di grandi questioni geopolitiche, come i cavi telegrafici del XIX secolo, il primo dei quali dal 1852 collegava le borse di Parigi, Londra e New York. Nei decenni successivi la Eastern Telegraph Company moltiplicò i collegamenti tra la Gran Bretagna e le sue colonie in Africa, Asia, ma anche con il Sudamerica, l’Australia e soprattutto la costa occidentale degli Stati Uniti. Nel 1892, i due terzi dei cavi mondiali appartenevano agli inglesi. Infatti Ancora oggi, il percorso dei cavi Internet sottomarini segue le rotte telegrafiche dell’Impero britannico ha affermato Jovan Kurbalija, un ex diplomatico specializzato in governance di Internet.

Nel Regno Unito come in Francia, dal 1870 (quando Marsiglia fu collegata ad Algeri), i cavi erano diventati essenziali, non solo per il commercio marittimo di tutte le grandi potenze e delle loro colonie, ma anche per difendere questo commercio. e queste colonie in tempo di guerra. A quel tempo, il governo britannico stava già incoraggiando le navi via cavo straniere a stabilirsi sulle sue coste per renderle accessibili per la sorveglianza. Insomma in tempo di guerra la nazione che li possedeva aveva il maggior numero di navi portacavi e la marina più potente, la Gran Bretagna, controllava anche le comunicazioni di altre nazioni. Il diritto internazionale, il rispetto dei diritti e della proprietà dei neutrali, le promesse di pace e amicizia perpetua, i vincoli di fratellanza tra le nazioni non sono più applicati. Il ventesimo secolo era iniziato. Fu nel 1898, durante il conflitto ispano-americano a Cuba, che i cablogrammi furono presi di mira per la prima volta. Successivamente, con l’inizio di ogni guerra mondiale, il Regno Unito taglierà i cavi sottomarini tedeschi.

Come ieri, l’importanza e la quantità di dati che passano attraverso queste fibre destano preoccupazione. Nell’estate del 2015 è bastata una nave oceanografica russa, la Yantar, per tracciare cavi vicino alle coste americane perché un think tank britannico, Policy Exchange, pubblicasse nel 2017 un rapporto dal titolo evocativo: marittimi: indispensabili e vulnerabili”. Circa 40 pagine scritte sotto la supervisione di un ex ammiraglio americano, spiegando perché i russi non escludono il taglio dei cavi sottomarini in caso di conflitto. Il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO), Jens Stoltenberg, chiede lo sviluppo di missioni di sorveglianza e protezione dei cavi sottomarini entro la fine del 2020.

Navi di sorveglianza, droni sottomarini, sistemi sonar depositati negli abissi: i ministeri delle forze armate, dagli Stati Uniti alla Cina passando per il Regno Unito e la Francia, gareggiano nell’inventiva per difendersi da una “guerra dei fondali”.

Questa recrudescenza della questione dei cavi corona una lunga tendenza. Con l’arrivo dei satelliti, i cavi furono usati come spionaggio durante la Guerra Fredda .Alla fine degli anni ’80, con l’avvento della fibra ottica, l’accresciuta capacità di questi cavi ha inaugurato l’era della banda larga, di Internet e dei grandi operatori spinti da interessi commerciali. Durante il primo decennio di sviluppo della fibra, l’industria dei cavi si è basata su consorzi di operatori nazionali, inclusi molti monopoli di stato. Ma l’adozione del principio di concorrenza da parte di molti paesi a seguito della legge statunitense sulle telecomunicazioni del 1996 lascia le leve nelle mani dei soggetti privati. In dieci anni la quota di capitale detenuta dagli operatori pubblici è diminuita, fino a rappresentare meno dell’1% del totale degli investimenti.

Negli ultimi dieci anni circa, alcuni investitori americani abbastanza potenti da operare in proprio hanno soppiantato i vecchi consorzi, che riunivano decine di operatori: Google, Facebook, Amazon e Microsoft. Con l’avanzare della Cina nel mercato asiatico, queste società potrebbero controllare la stragrande maggioranza dei cavi sottomarini occidentali entro tre anni .Google ne avrà presto cinque. L’ultimo ad entrare in servizio si chiama Dunant. Quasi duecento volte più potente delle fibre posate vent’anni fa, collega Virginia Beach a Saint-Hilaire-de-Riez (Vendée). Con video (YouTube, Netflix, Twitch) e archiviazione remota il consumo di dati sta esplodendo: sarebbe 130 volte superiore nel 2021 rispetto al 2005 .Sono i Gafam [Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft] che generano questo traffico, su cui l’Europa fa molto affidamento. Usano già metà della larghezza di banda Internet mondiale e questa potrebbe salire all’80% entro il 2027. Per questi giocatori, controllare solo questi flussi di dati è diventato ovvio.

Le società di telecomunicazioni vedono rosso. Qualche anno fa Google e Micr osoft erano i loro clienti. Ora sono ridotti a gestire l’approdo dei cavi sui territori nazionali, tutte le pratiche burocratiche e il collegamento con gli utenti finali. Diventano subappaltatori. E il loro modello di business dipenderà gradualmente da infrastrutture che non gli appartengono più. Inoltre, l’archiviazione remota dei dati ospitati su server di computer sparsi in tutto il mondo rende le aziende dipendenti dal cavo. Oggi l’economia del cloud è la linfa vitale dell’industria dei cavi. Per ragioni di costi ed efficienza, le grandi aziende europee affidano i propri dati ad aziende come Amazon Web Services. A causa della loro dipendenza dai colossi americani del cloud come Amazon (31% del mercato), Microsoft (20%) o Google (7%), i dati europei sono alla mercé dei servizi americani grazie al Cloud Act introdotto nel marzo 2018 dal amministrazione Trump. Sia che questi dati siano archiviati su server sul suolo statunitense o all’estero, è sufficiente una semplice richiesta da parte di un giudice statunitense per recuperarli.

Aiutati da un potente sistema di lobbying all’interno dell’Unione Europea i Gafam stanno accumulando certificazioni per la gestione dei dati sensibili. Così, senza averlo teorizzato, aziende e amministrazioni si stanno mettendo su una flebo dai cablogrammi americani. E a volte, senza nemmeno affrontare la concorrenza. Come per l’Health Data Hub, la piattaforma gestita da Microsoft Azure che dal 2019 raccoglie dati medici dagli ospedali francesi a scopo di ricerca.

All’interno dell’Unione Europea, il principio giuridico della neutralità della rete garantisce teoricamente il libero mercato: gli operatori europei devono garantire che tutti i contenuti che arrivano sulle loro reti nazionali siano trasmessi ai loro clienti senza degrado della qualità. È quindi sufficiente che i Gafam aumentino la capacità dei cavi e replichino localmente i contenuti ampiamente distribuiti. Non è necessario che si stabiliscano in Europa per fornire i propri servizi, il che consente loro di eludere ampiamente i controlli e le tasse locali.

Di fronte alla dipendenza tecnica, economica e legale, i paesi europei che non possono competere con Google o Amazon preferiscono aumentare il numero di cavi e fornitori di servizi (americani e presto cinesi) per dotarsi, in caso di tagli, di resilienza digitale , in mancanza di indipendenza. Le regioni più povere e meno connesse, come l’Africa, non hanno questo lusso. Google sta distribuendo Equiano, un cavo di 6.600 chilometri che corre lungo la costa dell’Africa occidentale. Facebook gestisce un piccolo consorzio, 2Africa, che dispiegherà il cavo più lungo del mondo intorno al continente entro il 2023: 37.000 chilometri. La dipendenza sarà colossale.

Per contrastare l’influenza degli Stati Uniti o della Cina nel mondo digitale, il dogma europeo del libero mercato assomiglia all’incudine leggendaria che si scatena sul piede. La European Interxion, il secondo fornitore di data center al mondo, è passata sotto il controllo dell’American Digital Realty nel 2020. La cinese Huawei Marine, uno dei più grandi installatori di cavi al mondo, proviene da una joint venture con la britannica Global Marine, che si rivolge a vantaggio del partner cinese. Alla fine degli anni 2000, il Regno Unito non aveva procedure per bloccare gli investimenti tessitura straniera in aree strategiche. I cinesi hanno acquisito le competenze nel corso degli anni, poi hanno liberato gli inglesi da posizioni chiave.

Insomma i cavi collegano un territorio sempre più frammentato dove si combatte una guerra politica ed economica a lungo termine. E i due poli normativi sono gli Stati Uniti e la Cina.L’Unione europea ha perso di nuovo la partita . Almeno per il momento.

Gagliano Giuseppe GUERRE ET INTELLIGENCE ÉCONOMIQUE DANS LA PENSÉE DE CHRISTIAN HARBULOT

Il primo saggio in lingua francese sulla riflessione di Christian Harbulot

Essai

Gagliano Giuseppe GUERRE ÉCONOMIQUE ET GUERRE COGNITIVE

La Guerra cognitiva e della informazione

article

Gagliano Giuseppe GUERRA E INTELLIGENCE ECONOMICA NELLA RIFLESSIONE DI CHRISTIAN HARBULOT

Pubblichiamo per la prima volta in italiano un ampio saggio sulla riflessione di Christian Harbulot al quale il Cestudec ha dedicato gran parte della sua recente produzione scientifica.

Luigi Iannone La Geoecomonia: politica, economia e guerra

Recensione al saggio La geoeconomia nel pensiero strategico francese contemporaneo (Fuoco Edizioni)

Link

 

Giovanni Caprara Recensione a Stato,potenza e guerra economica

RECENSIONE a Stato,potenza e guerra economica