La strategia della tensione secondo il magistrato Giovanni Tamburino

Giovanni Tamburino, Dietro tutte le trame.Gianfranco Alliata e le origini della strategia della tensione, Donzelli, 2022

Il saggio del magistrato Giovanni Tamburino, amico di Giovanni Falcone, membro del consiglio direttivo dell’Archivio Flamini e soprattutto uno di coloro che maggiormente si è impegnato nel dimostrare il legame tra l’estremismo neofascista, i servizi segreti e i vertici più alti delle forze armate.Al di là delle vicende specifiche legate a Padova e a Verona sulle quali giustamente opportunamente il magistrato italiano si sofferma (stiamo alludendo al ruolo rilevante che ebbe nel coprire il Deep State a Padova il dirigente dell’ufficio politico della cultura padovana e cioè saverio Molino; al ruolo altrettanto rilevante del falso magistrato Cavallaro ,a quello svolto dal periodico “il settimanale“ diretto da Edilio Rusconi)l’autore comprende il ruolo rilevante di Verona perché questa città rappresentava il crocevia delle principali vicende eversive per molti decenni.Infatti Verona era la base delle forze armate americane in Italia e sede dei comandi Nato più importanti. Non solo :ma questi comandi avevano rapporti molto stretti con alcune logge massoniche.Non dimentichiamoci inoltre che proprio a Verona aveva sede l’ufficio di Guerra psicologica che era diretto dal Generale Francesco Nardella che risulterà legato alla massoneria di Alliata e alla Rosa dei venti. Di particolare importanza, sottolinea l’autore, la loggia massonica Colosseum composta anche da un certo Franck Gigliotti della Cia . All’interno di questa loggia vi erano esponenti di ON ma anche componenti di organizzazione paramilitari come per esempio quella del Nucleo di difesa dello Stato oltre a personaggi che facevano parte della P2 e del Sid. Un altro personaggio inquietante che si presenta al magistrato durante le sue inchieste fu un certo Dario Zagolin imprenditore ma soprattutto informatore e agente operativo, legato alle Brigate nere della Repubblica sociale di Salò. Ma l’importanza di questo personaggio è legato al fatto che fu presente a Piazza fontana l’11 dicembre 1969. Inoltre opportunamente il magistrato sottolinea come il gruppo politico di Valpreda fosse pieno di infiltrati e come la bomba che esplosa in Piazza fontana-non dimentichiamolo-era uno dei cinque ordini collocati a Milano ma anche a Roma.Tutto ciò implicava un preciso coordinamento a livello sia locale che nazionale. Era quindi il frutto di un’organizzazione raffinata, complessa e sperimentata. Insomma Zagolin era uno snodo importante con i servizi deviati , con il gruppo neofascista ON e con l’intelligence americana.Un altra questione di grande centralità furono i rapporti che esistevano tra l’ex terrorista dell’OAS Susini e la sua presenza presso il comando Ftase di Verona. Ma esistevano altri elementi probatori dei rapporti tra Spiazzi e i vertici di ON in Veneto. Da un punto di vista storico questi legami tra i gruppi di estrema destra anticomunisti, le strutture parallele dei servizi di sicurezza vanno inquadrati nella lotta al comunismo e più esattamente vanno inquadrati nella fondazione nel 1951 della commissione di pianificazione clandestina e nel fatto che questa commissione organizzò operazione clandestine. La matrice strategica originaria va dunque individuata nella riflessione che venne elaborata da parte americana negli anni 50 in funzione anticomunista.Se non si inquadrano questi eventi in un contesto di quella natura non si comprenderà l’esistenza di un filo preciso che lega eventi apparentemente lontani gli uni dagli altri. Per quanto possa essere importante il contenuto del convegno al Parco dei principi che si tenne nel 1965 questo deve essere comunque letto come una rielaborazione, un aggiornamento di una strategia che fu elaborata molto tempo prima.Un ‘altra struttura parallela fu certamente l’Organizzazione Gehelen strettamente legata non soltanto alla CIA ma anche al Sid. Un altro interessante aspetto relativo ai legami fra Stati Uniti e la strategia della tensione è dimostrato dal fatto che gli americani diedero rilevanti finanziamenti a Miceli attraverso l’ambasciata americana e una parte di questi finanziamenti servivano anche a finanziare gruppi di estrema destra. Indipendentemente dall’autenticità o meno del celebre Field Manual 30 -31 del 70, una documentazione di analoga importanza è quella intitolata US Policy toward Italy frutto del lavoro del consiglio di sicurezza nazionale americano. In questo documento si dice chiaramente che non è accettabile che il partito comunista possa giunge aggiungere per via legale al potere e in esso si sottolinea come fosse necessario prendere ogni azione necessaria per prevenire o rovesciare il predominio comunista. Questo documento poi verrà formalizzato nel gennaio del 1961 sotto la sigla NSC 2014/1-Secret. Ma come devono essere interpretati da un punto di vista più ampio l’esistenza di questi gruppi di estrema destra? Questi gruppi, almeno fino agli anni 80, furono un braccio esecutivo ed ufficiale dello Stato: questo significa che all’interno delle strutture statali esisteva una pianificazione frutto di una pianificazione sovranazionale dipendente dalla Nato e dagli Stati Uniti.Infatti l’analisi del rapporto fra i gruppi fascisti e le protezioni interne alle strutture ufficiali aiuta certamente a fare chiarezza sull’espressione equivoca cioè stragi di stato. Usare questa espressione, secondo il magistrato, è un errore perché queste stragi non furono frutto della politica italiana cioè la politica non fu l’attore della strategia ma anzi esistette una barriera interna da parte delle forze politiche comprese quelle della maggioranza che si oppose in modo efficace alla eversione. Ecco perché è meglio usare l’espressione Deep state perché essa fa riferimento alla stratificazione che è un fenomeno reale.Secondo il magistrato organismi, associazioni eccetera si collocano sotto il livello visibile per realizzare corruzione, delitti e alterare il funzionamento della democrazia. Questa espressione rinvia al fatto che settori non marginali dei pubblici poteri non solo erano a conoscenza di quanto accadeva ma ne furono addirittura gestori e beneficiari a lungo in prima persona e ciò fu possibile grazie al coinvolgimento di personaggi di alto livello dell’istituzione e cioè da parte dei ministri, magistrati, verso delle forze armate e dell’intelligence. Insomma questa sorta di Deep State rappresenta una vera e propria zona grigia e all’interno di essa vi sono uomini chiave che io ho definito-al di là della riflessione dell’autore del saggio-uomini anello, uomini che sono stati in grado di collegare grazie alla loro autorevolezza e alla loro lucidità politico -strategica la massoneria, i servizi di sicurezza italiani e stranieri, una parte della classe politica e anche la criminalità organizzata.Facciamo alcuni nomi di questi uomini anello: Roberto Calvi, Michele Sindona , Licio Gelli ma soprattutto-e qui ritorniamo al saggio dell’autore-Gianfranco Alliata di Montereale personaggio che attraversato per mezzo secolo le vicende italiane come esponente di spicco dalla massoneria ,a stretto contatto con gruppi dell’estrema destra, promotore di strutture lecite ma anche di associazioni e movimenti appartenenti al settore più oltranzista della Nato e degli Stati Uniti. Un chiarimento però si impone-sottolinea l’autore-ed è relativo all’espressione zona grigia .Che cosa si intende con questa espressione? È una sorta di di fusione di componenti di carattere massonico, mafioso, finanziario e organizzazioni eversive. Questa zona griglia nasconde strutture coperte ed è caratterizzata da personaggi trasversali. A proposito di Alliata l’autore sottolinea come sia molto probabile che sia stato lui il mandante dell’omicidio di Portella della ginestra ,come sia stato lui a servirsi di Salvatore Giuliano.Insomma questo personaggio per certi versi inquietante avrebbe svolto, secondo l’autore, un ruolo molto importante nella pianificazione della strategia della tensione e avrebbe quindi svolto un ruolo di collegamento diretto tra la massoneria italiana e quella americana.

La riflessione di Noam Chomsky sul conflitto ucraino

Il ruolo della Nato

In ogni caso, nel 1991 rimaneva in piedi la domanda di cosa fare della NATO. La conclusione logica avrebbe dovuto essere che doveva essere sciolta: la sua giustificazione ufficiale non esisteva più. Invece, fu allargata e non solo a livello territoriale ma anche nella sua missione. La missione ufficiale della NATO fu modificata perché diventasse di portata globale, non soltanto il confronto con la Russia. Così, la missione della NATO divenne la protezione del sistema energetico globale, un mezzo per assicurare che esso rimanesse sotto il controllo occidentale: non c’è un’altra accezione di «protezione». Questo sistema includeva le vie marittime e i condotti di gas e petrolio, insomma il mondo intero. In questo modo la NATO è diventata sostanzialmente una forza di intervento a guida statunitense. E lo possiamo confermare agevolmente: basta pensare ai Balcani nel 1999, quando la NATO bombardò la Serbia per la questione del Kosovo. Già questo è un indizio forte del fatto

che la NATO è semplicemente una forza di intervento statunitense che non presta la benché minima attenzione al diritto internazionale. Nel caso della reazione occidentale all’invasione irachena del Kuwait quantomeno si potevano addurre delle argomentazioni, io non credo che fossero valide, ma almeno si potevano immaginare, insomma che fosse una reazione difensiva.

Interventi umanitari

Per giustificare tutto questo sono stati architettati diversi stratagemmi, a livello di ideologia e di propaganda. È istruttivo analizzarli. Uno di questi, molto interessante, è la dottrina del cosiddetto «dovere di proteggere»–RtoP (Responsibility to Protect). Essa in verità prevede due versioni. Una è quella riconosciuta dalle Nazioni Unite, durante l’Assemblea generale ONU del 2005: una versione più ristretta del RtoP che è leggermente diversa da quella che esisteva prima. Poi c’è l’altra versione, che fu sviluppata più o meno nel periodo dei bombardamenti sulla Serbia del 1999 dalla commissione internazionale guidata dall’ex ministro degli Esteri australiano Gareth Evans. La versione di Evans è sostanzialmente identica a quella accolta dalle Nazioni Unite pochissimi anni dopo, ma con una differenza cruciale. In un paio di paragrafi si dice in sostanza: «Laddove non vi sia unanime consenso internazionale, né accordo in seno al Consiglio di sicurezza sull’autorizzazione a un intervento, le organizzazioni regionali nella loro area di giurisdizione possono effettuare un intervento militare che deve essere soggetto a una successiva autorizzazione da parte del Consiglio di sicurezza». Possiamo tradurre tutto questo in una realtà geopolitica. Significa in pratica che la NATO può effettuare interventi militari entro quella che essa stessa definisce come propria area di giurisdizione–che può anche essere il mondo intero–senza l’autorizzazione del Consiglio di sicurezza. E se analizziamo i casi di ricorso al RtoP, è sconcertante vedere che cosa è avvenuto. La versione dell’ONU mirava a dimostrare la legittimità di un’azione, mentre la sua effettiva applicazione segue la versione della commissione di Evans. Dunque, in sostanza, ciò significa che gli USA-NATO possono usare la forza militare senza autorizzazione del Consiglio

Ucraina e Stati Uniti

Il presidente George W. Bush–l’amabile nonnetto rimbambito festeggiato dalla stampa per i vent’anni della sua invasione dell’Afghanistan–mollò le redini, ammettendo vari alleati, fra cui i paesi baltici. Nel 2008 invitò l’Ucraina a aderire, stuzzicando l’orso che dorme. Dal punto di vista geostrategico, l’Ucraina è un territorio fondamentale per la Russia, anche lasciando da parte gli stretti rapporti storici e l’ampia fetta di filorussi nel paese. Germania e Francia opposero il loro veto all’incosciente invito di Bush, invito che però non è mai stato tolto dal tavolo. Nessuna dirigenza russa l’avrebbe mai accettato, di certo non Gorbačëv, che al riguardo si era nitidamente espresso. Come nel caso dello schieramento di armi offensive sul confine russo, esiste una soluzione semplice. L’Ucraina può avere lo stesso ruolo che l’Austria e alcuni paesi nordici ebbero durante la Guerra fredda: neutrali, ma strettamente legati all’Occidente e abbastanza protetti: partecipi dell’Unione europea nel grado in cui hanno stabilito di esserlo. Gli Stati Uniti rifiutano questa prospettiva, proclamando un’appassionata devozione alla sovranità delle nazioni, che non può essere violata: il diritto dell’Ucraina ad aderire alla NATO va salvaguardato. Una posizione virtuosa, che può forse essere encomiata negli Stati Uniti, ma di certo sollecita sghignazzi ovunque nel mondo, Cremlino compreso. Il mondo ci conosce bene come modello di devozione alla sovranità, soprattutto nei tre casi che più degli altri hanno fatto infuriare la Russia: Iraq, Libia e Kosovo-Serbia. Il rifiuto, da parte statunitense, di una neutralità simil-austriaca per l’Ucraina ha qualcosa di surreale. I politici americani sanno a perfezione che l’ammissione alla NATO dell’Ucraina è fuori discussione, per quanto ci è dato prevedere. E possiamo tranquillamente accantonare le ridicole esibizioni di rispetto per la sacrosanta sovranità. Dunque, in nome di un principio nel quale non credono neppure per un istante, e per perseguire un obiettivo che sanno essere portata, gli Stati Uniti corrono il rischio di disastrose sciagure. A tutta prima, si tratta di una mossa incomprensibile, che però rivela plausibili calcoli imperialistici.

Europa e Nato

Una risposta può esser suggerita dal celebre slogan sugli scopi della NATO: tenere la Russia fuori, la Germania buona e gli USA dentro. La Russia è alla larga. La Germania è buona. Rimane da chiedersi se gli USA rimarranno in Europa: o meglio, se rimarranno al potere in Europa. Non tutti hanno accettato senza opporsi questo assunto della politica mondiale; fra questi: Charles de Gaulle, che propose la sua idea di Europa dall’Atlantico agli Urali; l’ex cancelliere tedesco Willy Brandt, con la sua Ostpolitik; e il presidente francese Emmanuel Macron, con le sue attuali iniziative diplomatiche che tanto dispiacciono a Washington. Se la crisi Ucraina trovasse una soluzione pacifica, sarebbe un affare tutto europeo, rompendo con la concezione «atlantista» postbellica che vede gli Stati Uniti saldamente al posto di guida. Si creerebbe anche un precedente per un’ulteriore indipendenza europea, se non addirittura per un avvicinamento alla visione di Gorbačëv. Inoltre, con la «Nuova via della seta» cinese che incombe da est, nell’ordine globale si aprono nuovi e più ampi scenari.

Aspetti della politica estera americana

Tutto vero, anche se a volte è difficile da credere. Uno degli esempi più importanti e rivelatori ce lo fornisce la cornice retorica del maggiore documento di pianificazione interna risalente ai primi anni della Guerra fredda, il Memorandum 68 del 1950, poco dopo la «perdita della Cina» che mandò nel panico gli Stati Uniti. 2 Quel documento costituì la premessa per un’enorme “espansione del bilancio militare. Vale la pena di ricordarlo oggi che vediamo riverberare gli effetti di quella follia, e non per la prima volta. È così da sempre. Le raccomandazioni politiche del Memorandum 68 sono state ampiamente studiate dalla ricerca accademica, mentre si è dato scarso rilievo all’isterismo del suo stile retorico. L’impianto è quello di una fiaba: il male assoluto da una parte e la purezza e il nobile idealismo dall’altra. Da una parte c’è lo «Stato schiavista» (l’Unione Sovietica), con il suo «progetto fondamentale» e la sua innata «coazione» a conquistare l’« autorità assoluta sul resto del mondo», distruggendo tutti i governi e la «struttura della società» dovunque. Al suo male assoluto si contrappone la nostra assoluta perfezione. «Scopo fondamentale» degli Stati Uniti è assicurare ovunque «la dignità e il valore dell’individuo». I leader americani sono animati da una «tendenza generosa e costruttiva e dall’assenza di cupidigia nelle relazioni internazionali»: atteggiamento particolarmente evidente nel luogo storico dell’influenza statunitense, ovverossia l’emisfero occidentale, da tempo beneficiario della tenera sollecitudine di Washington, come possono testimoniare i suoi abitanti. Chiunque avesse familiarità con la storia e con i reali equilibri mondiali del potere dell’epoca avrebbe reagito a questa messinscena con totale sconcerto. Nemmeno gli autori del documento, presso il Dipartimento di Stato, credevano a ciò che scrivevano. Alcuni di loro, successivamente, lasciarono qualche indizio di ciò che intendevano fare. Il segretario di Stato Dean Acheson spiegò nelle sue memorie che, per poter imporre l’enorme espansione militare già pianificata, bisognava «ficcarlo in testa al governo» badando di essere «più cristallini della verità. “I precedenti retorici sono tanti, e in questo momento il tasto su cui si batte è l’indolenza e l’ingenuità degli americani verso le vere intenzioni di quel «cane sciolto» di Putin, ossia distruggere la democrazia ovunque essa sia e sottomettere il mondo alla sua volontà, questa volta con l’appoggio dell’altro «Grande Satana», Xi Jinping. Tutti hanno intravisto nel vertice tra Putin e Xi Jinping del 4 febbraio, in occasione dell’apertura dei Giochi olimpici, un evento di enorme rilevanza per gli affari internazionali. Un articolo in primo piano sul «New York Times» raccontava l’evento titolando «Un nuovo Asse», con un’allusione non troppo velata. Nel pezzo si riportavano le vere intenzioni di questa reincarnazione delle potenze dell’Asse: «Il messaggio che Cina e Russia hanno lanciato agli altri paesi è chiaro», scrive David Leonhardt. «Non faranno pressioni su altri governi affinché rispettino i diritti umani o indicano le elezioni». Con sgomento di Washington, l’Asse sta inoltre attirando a sé due paesi che rientrano nel «campo americano», l’Egitto e l’Arabia Saudita, esempi straordinari di come gli Stati Uniti rispettino i diritti umani e le elezioni all’interno del loro «campo», ossia garantendo un massiccio flusso di armi a queste brutali dittature o partecipando direttamente ai loro crimini. Il Nuovo Asse sostiene inoltre che «un paese potente dovrebbe poter imporre la sua volontà all’interno della sua conclamata sfera di influenza. Quel paese dovrebbe anche essere in grado di rovesciare un governo vicino più debole senza che il mondo interferisca. “Come nel caso del Memorandum 68, c’è del metodo nella follia. La Cina e la Russia rappresentano davvero una minaccia concreta. E l’egemone globale non la prende alla leggera. Ci sono temi ricorrenti nel modo in cui i commentatori e la politica statunitense reagiscono a quella minaccia. E meritano qualche riflessione. L’Atlantic Council definisce la formazione del Nuovo Asse uno «spostamento tellurico nelle relazioni internazionali» che sottende un progetto «da capogiro»: «Le parti hanno convenuto di creare legami più forti tra le loro economie mediante la cooperazione tra la Nuova via della seta cinese e l’Unione economica eurasiatica di Putin. Lavoreranno insieme allo sviluppo dell’Artico. Potenzieranno il coordinamento tra le istituzioni multilaterali e nella lotta ai cambiamenti climatici». 5 Non dobbiamo sottovalutare la grande rilevanza della crisi ucraina, aggiunge Damon Wilson, presidente del National Endowment for Democracy: «La posta in gioco di questa crisi non coinvolge soltanto l’Ucraina, ma il futuro della libertà», nientedimeno che. 6 Vanno prese delle misure forti al più presto, afferma il capogruppo della minoranza al Senato Mitch McConnell: «Il presidente Biden dovrebbe usare ogni strumento a sua disposizione e imporre dure sanzioni prima di un’invasione e non dopo». Non c’è tempo di baloccarsi con appelli macroniani all’orso furioso affinché moderi la sua violenza. “Per Washington la questione è più profonda: un accordo regionale porrebbe una seria minaccia allo status globale degli Stati Uniti. Questa preoccupazione cova sin dagli anni della Guerra fredda: è possibile che l’Europa acquisisca un ruolo indipendente negli affari internazionali (e sarebbe possibile) magari seguendo la visione gollista, ossia di un’Europa dall’Atlantico agli Urali, ripresa poi nel 1989 da Gorbačëv con la sua idea di una «casa comune europea», di un «vasto spazio economico dall’Atlantico agli Urali»? Ancora più impensabile sarebbe la visione ulteriormente allargata di Gorbačëv di un sistema di sicurezza eurasiatico da Lisbona a Vladivostok senza blocchi militari: una proposta che fu rifiutata senza possibilità di appello durante i negoziati condotti trent’anni fa per ricercare un accomodamento post-Guerra fredda.

Cina

Più o meno lo stesso vale per gli attriti con la Cina. Come abbiamo discusso in precedenza, 12 ci sono seri problemi riguardanti la violazione del diritto internazionale da parte della Cina nei mari vicini, anche se gli Stati Uniti, essendo l’unico paese marittimo a rifiutarsi persino di ratificare la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, non sarebbero nella posizione di muovere obiezioni. E di certo gli Stati Uniti non mitigano questi problemi nel momento in cui inviano una flotta navale in quelle acque o forniscono all’Australia una flotta di sottomarini nucleari per rafforzare la loro già schiacciante superiorità militare al largo delle coste della Cina. Tali questioni possono e devono essere affrontate dalle potenze regionali. Come nel caso dell’Ucraina, il problema per gli Stati Uniti è che non sono loro a dettare legge. E sempre come nel caso dell’Ucraina, gli Stati Uniti professano i loro alti principi nel fronteggiare la minaccia rappresentata dai cinesi: il loro ribrezzo per le violazioni dei diritti umani da parte della Cina, che pure sono senza dubbio gravi. Anche in questo caso non è troppo difficile valutare la sincerità di questa posizione. Un indicatore molto utile al riguardo sono gli aiuti militari inviati dagli Stati Uniti. In cima alla classifica troviamo due paesi che formano una categoria a parte: Israele ed Egitto. Quanto alle performance israeliane in materia di diritti umani possiamo fare riferimento ai dettagliati rapporti di Amnesty International e Human Rights Watch.

La guerra santa di Zelensky

Come riferisce il periodico Politico https://www.politico.eu/article/zelenskyy-calls-out-angela-merkel-nicolas-sarkozy-for-blocking-ukraines-nato-bid/

Zelenskyy ha invitato in modo provocatorio la Merkel e Sarkozy a visitare Bucha, per vedere a cosa ha portato la politica di 14 anni di concessioni alla Russia ,per vedere con i loro occhi gli uomini e le donne ucraine torturati. Oltre ad avere auspicato sanzioni ancora più severe nei confronti della Russia e soprattutto aver auspicato che i crimini di guerra commessi nella città di Bucha siano perseguiti come crimini contro l’umanità ha sottolineato che proprio la Francia e la Germania durante il vertice Nato nel 2008 si opposero all’entrata della Georgia e dell’Ucraina all’interno della Nato per non irritare il loro alleato russo. Infine ha ancora una volta sottolineato la necessità che l’Ucraina entri nella Nato per uscire da quella zona grigia che è l’Europa orientale cioè quella zona grigia che si trova tra la Nato e la Russia. Il tono e le parole usate dal Zelensky sono indubbiamente da guerra santa e ricalcano perfettamente un copione e una sceneggiatura redatta dai seguaci di John Wayne o di Roger Moore che vogliono dissanguare la Federazione Russa riducendola sostanzialmente alla loro mercé. Parole che se paiono comprensibili in un contesto di propaganda di guerra allontanano sempre di più qualunque posizione di soluzione diplomatica ma soprattutto creeranno numerosi e gravi problemi di natura economica all’Unione Europea priva di qualunque politica energetica autonoma come d’altra parte di qualunque politica di sicurezza. Ma su come costruire per l’Europa una realistica alternativa energetica dalla dipendenza russa potremmo sempre chiedere lumi eco-teologici ai seguaci di Greta Thunberg o di Papa Francesco.

La crisi Ucraina nell’interpretazione di Le Monde Diplomatique

In un interessante editoriale David Teurtrie su Le Monde Diplomatique https://www.monde-diplomatique.fr/2022/02/TEURTRIE/64373 esprime in modo lucido e provocatorio – provocatorio sia chiaro almeno per i numerosissimi analisti filo atlantici nostrani – una riflessione in controtendenza sulla questione ucraina .

Più volte gli Stati Uniti hanno minacciato di disconnettere la Russia dal sistema bancario globale.Ma la Russia a differenza di altre nazioni è stata previdente e ha saputo giocare di anticipo. Infatti

“dal 2014, le autorità russe hanno aumentato significativamente la capacità della loro economia di superare un grave shock, in particolare per il settore bancario e finanziario. La quota del dollaro è diminuita nelle riserve della banca centrale. Una carta di pagamento nazionale, Mir, è ora nel portafoglio dell’87% della popolazione. E, se gli Stati Uniti avessero portato avanti la loro minaccia di disconnettere la Russia dal sistema Swift occidentale, come hanno fatto per l’Iran nel 2012 e nel 2018, i trasferimenti finanziari tra banche e società russe potrebbero ora essere effettuati tramite messaggistica locale”.

Passiamo adesso all’atteggiamento del presidente Putin nei confronti del processo di allargamento : è evidente che il progetto Nato mira a trasformare l’Ucraina in una sorta di anti Russia nazionalista. Infatti da un lato l’attuale premier ucraino ha amplificato la politica di rottura con il mondo russo avvicinandosi sempre di più agli Stati Uniti e in secondo luogo ha rafforzato la cooperazione militare in ambito Nato .Per non parlare del fatto che la Turchia ha consegnato droni da combattimento che fanno temere in modo legittimo alla Russia che Kiev potrebbe tentare di riconquistare militarmente il Donbass.

Ma l’allargamento dell’alleanza atlantica-si domanda l’editorialista francese-era una cosa prevedibile, scontata? Tutt’altro. La scomparsa del patto di Varsavia infatti avrebbe dovuto determinare la dissoluzione dell’alleanza atlantica per essere sostituita con nuove alleanze come quella proposta dalla Francia. Ma così non è stato. Non solo l’alleanza atlantica non si è dissolta ma si è allargata verso est al fine di consolidare il dominio americano in Europa servendosi della Germania per riconquistare la propria influenza in Europa. E regie antiatlantico il antiamericane queste? Non proprio.

Come ricorda l’editorialista francese un analista americano non sospettabile certo le simpatie filocomuniste ,George Kennan, considerato l’architetto della politica di contenimento dell’URSS, prevedi le conseguenze logiche e dannose di tale decisione: “L’allargamento della NATO sarebbe l’errore più fatale nella politica americana dalla fine della guerra fredda. Ci si può aspettare che questa decisione susciti le tendenze nazionaliste, anti-occidentali e militaristiche dell’opinione pubblica russa; ravviva un’atmosfera di guerra fredda nelle relazioni Est-Ovest e diriga la politica estera russa in una direzione che non corrisponderà davvero ai nostri desideri “. Un monito questo completamente dimenticato e disatteso dagli Stati Uniti.

L’Intervento in Iraq da parte degli Stati Uniti, l’intenzione di installare infrastrutture militari nell’Europa orientale nonostante gli accordi siglati nel 97 hanno profondamente irritato non solo l’attuale premier russo ma hanno determinato un profondo senso di diffidenza e di sfiducia da parte della oligarchia politica e militare russa nei confronti degli Stati Uniti. Ma le provocazioni da parte di Stati Uniti-almeno secondo la lettura che ne dà le l’editorialista francese-non sono sempre finite qui: il ritiro degli Stati Uniti dal trattato sui missili balistici nel 2001 e il timore da parte russo-certamente fondato-che le rivoluzioni colorate arrivassero a destabilizzare tutto lo spazio post- sovietico allo scopo di creare regimi filoccidentali ha fatto il resto.E che dire quando nell’aprile del 2008 gli Stati Uniti hanno fatto di tutto per esercitare una forte pressione sui propri alleati allo scopo di fare rientrare la Georgia e guarda caso l’Ucraina nell’orbita atlantica? Cosa è successo poi nella realtà? La Russia è intervenuta militarmente in Georgia nel 2008 e ha riconosciuto l’indipendenza dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia. Con questo intervento militare che naturalmente ha violato il diritto internazionale sinè tuttavia fermato l’allargamento dell’alleanza atlantica. Ma nonostante il successo dell’intervento russo le ambizioni americane non si sono fermate come dimostra il fatto che nel 2013 gli Stati Uniti-sostenuti degli europei-hanno legittimato le manifestazioni spontanee-se così vogliamo esprimerci-che hanno portato alla caduta del presidente Viktor Yanukovich, la cui elezione nel 2010 è stata riconosciuta come conforme agli standard democratici.

Come puntualmente sottolinea la ricercatrice Isabelle Facon, la Russia “percepisce con fastidio il fatto che i paesi europei sono irrimediabilmente incapaci di autonomia strategica dagli Stati Uniti e che rifiutano di assumersi le proprie responsabilità di fronte al deterioramento della situazione strategica e internazionale “.

Se insomma siamo arrivati a questo punto-quasi ad un punto di non ritorno tra Russia e Ucraina-a voler essere non dico obiettivi ma quantomeno neutrale la responsabilità certo non è solo della Russia ma è soprattutto degli Stati Uniti e dei loro ambizioni egemoniche. Come sottolinea l’editorialista francese a conclusione del suo lungo articolo : “la crisi delle relazioni russo-occidentali dimostra che la sicurezza del continente europeo non può essere garantita senza – e a maggior ragione contro – la Russia. Washington, al contrario, sta lavorando per promuovere questa esclusione poiché rafforza l’egemonia americana in Europa. Da parte loro, gli europei occidentali, in primo luogo la Francia, mancavano di visione e coraggio politico per bloccare le iniziative più provocatorie di Washington e proporre un quadro istituzionale inclusivo per evitare la ricomparsa di linee divisorie “. Insomma ancora una volta manca un’Europa sul piano politico -militare.Ancora una volta l’Europa dimostra di essere dal punto di vista politico -militare una entità fantasma, suddita degli obiettivi a breve e a lungo termine degli Stati Uniti.

Pizza e basi militari in Italia secondo The Guardian


La maggior parte dei turisti pensa all’Italia come alla terra dell’arte rinascimentale, delle antichità romane e, naturalmente, dell’ottima pizza, pasta e vino.  Pochi lo considerano una terra di basi militari statunitensi, ma il Pentagono ha passato gli ultimi due decenni ad arare centinaia di milioni di dollari delle tasse in basi in Italia, trasformando il Paese in un centro sempre più importante per la potenza militare statunitense.

Dall’inizio della guerra globale al terrore nel 2001, l’esercito ha spostato il suo centro di gravità europeo a sud dalla Germania, dove la stragrande maggioranza delle forze statunitensi nella regione è di stanza dalla fine della seconda guerra mondiale.  Nel processo, il Pentagono ha trasformato la penisola italiana in un trampolino di lancio per future guerre in Africa, Medio Oriente e oltre.

Nelle basi di Napoli, Aviano, Sicilia, Pisa e Vicenza, tra le altre, i militari hanno speso più di 2 miliardi di dollari nella sola costruzione dalla fine della guerra fredda – e quella cifra non include miliardi in più su progetti di costruzione classificati e  costi operativi e del personale quotidiani.

Il mese scorso ho avuto la possibilità di visitare la nuovissima base americana in Italia di  Vicenza, vicino a Venezia.  Sede di una forza di intervento di reazione rapida, della squadra di combattimento della 173a brigata di fanteria e della componente dell’esercito del comando dell’Africa degli Stati Uniti (Africom), la base si estende per un miglio, da nord a sud, facendo impallidire tutto il resto nella piccola città.  In effetti, su oltre 145 acri, la base è quasi esattamente delle dimensioni del centro commerciale nazionale di Washington o l’equivalente di circa 110 campi da football americano.  Il prezzo per la base e la relativa costruzione in una città che ha già ospitato almeno sei installazioni: oltre 600 milioni di dollari dall’anno fiscale 2007.

L’Italia è diventata sempre più importante poiché il Pentagono lavora per cambiare la composizione della sua collezione globale di 800 o più basi all’estero.  Le uniche persone che hanno prestato attenzione a questo accumulo sono gli italiani nei movimenti di opposizione locali come quelli di Vicenza che sono preoccupati che la loro città diventi una piattaforma per future guerre statunitensi.

Pubblicamente, i funzionari statunitensi affermano che non ci sono basi militari statunitensi in Italia.  Insistono sul fatto che le nostre guarnigioni, con tutte le loro infrastrutture, attrezzature e armi, siano semplicemente ospiti di quelle che ufficialmente rimangono basi “italiane” designate per l’uso della NATO.  Naturalmente, tutti sanno che questa è in gran parte una sottigliezza legale.

L’esercito ha speso molto per aggiornare le sue basi italiane.  Fino ai primi anni ’90, la base aerea americana di Aviano, a nord-est di Vicenza, era un piccolo sito noto come “Sleepy Hollow”.  A partire dal trasferimento degli F-16 dalla Spagna nel 1992, l’aviazione l’ha trasformata in un’importante area di sosta per ogni significativa operazione bellica dalla prima guerra del Golfo.  Nel processo, ha speso almeno $ 610 milioni in più di 300 progetti di costruzione: Washington ha convinto la Nato a fornire più della metà di questi fondi e l’Italia ha ceduto gratuitamente 210 acri di terra.  Oltre a questi progetti, l’aviazione ha speso altri 115 milioni di dollari per la costruzione dall’anno fiscale 2004.

Per non essere da meno, la marina ha stanziato più di 300 milioni di dollari a partire dal 1996 per costruire una nuova importante base operativa presso l’aeroporto di Napoli.  Nelle vicinanze, ha un contratto di locazione di 30 anni su un “sito di supporto” stimato da 400 milioni di dollari che sembra un grande centro commerciale circondato da ampi prati ben curati.  Nel 2005, la marina ha spostato la sua sede europea da Londra a Napoli mentre spostava la sua attenzione dal nord Atlantico all’Africa, al Medio Oriente e al Mar Nero.  Con la creazione di Africom, la cui sede principale rimane in Germania, Napoli è ora sede di una combinazione di forze navali USA Europa-Forze navali USA Africa.  Significativamente, il suo sito Web mostra in modo visibile l’ora di Napoli, Gibuti, Liberia e Bulgaria.

Nel frattempo, la Sicilia è diventata sempre più significativa nell’era della guerra globale al terrore, poiché il Pentagono l’ha trasformata in un importante nodo delle operazioni militari statunitensi per l’Africa, a meno di 100 miglia di distanza attraverso il Mediterraneo.  Dall’anno fiscale 2001, il Pentagono ha speso di più per la costruzione della base aerea navale di Sigonella – quasi 300 milioni di dollari – che in qualsiasi base italiana diversa da Vicenza.  Ora la seconda stazione aerea navale più trafficata d’Europa, Sigonella è stata utilizzata per la prima volta per lanciare i droni di sorveglianza Global Hawk nel 2002. Nel 2008, i funzionari statunitensi e italiani hanno firmato un accordo segreto che consente formalmente l’insediamento di droni . Da allora, il Pentagono ha stanziato almeno 31 milioni di dollari per costruire un complesso di manutenzione e operazioni Global Hawk.  I droni forniscono le basi per il sistema di sorveglianza terrestre da $ 1,7 miliardi, che offre capacità di sorveglianza della NATO fino a 10.000 miglia da Sigonella.

A giugno, una sottocommissione del Senato degli Stati Uniti ha raccomandato di spostare le forze per le operazioni speciali e i falchi pescatori CV-22 dalla Gran Bretagna alla Sicilia, poiché “Sigonella è diventata un trampolino di lancio fondamentale per le missioni relative alla Libia, e date le turbolenze in corso in quella nazione, nonché l’emergere  di attività di addestramento terroristico in Nord Africa”.  

Da parte sua, l’Italia sembra aver beneficiato direttamente di questa cooperazione – alcuni dicono che lo spostamento delle basi dalla Germania all’Italia fosse anche inteso come un modo per punire la Germania per il suo mancato sostegno alla guerra in Iraq.  Secondo un rapporto del 2010 del Jane’s Sentinel Security Assessment, “il ruolo dell’Italia nella guerra in Iraq, fornendo 3.000 soldati allo sforzo guidato dagli Stati Uniti, ha aperto contratti di ricostruzione iracheni alle imprese italiane, oltre a cementare le relazioni tra i due alleati”.  Il suo ruolo nella guerra in Afghanistan ha sicuramente offerto vantaggi simili.  Tali opportunità sono arrivate in mezzo a crescenti problemi economici e in un momento in cui il governo italiano si stava rivolgendo alla produzione di armi come un modo principale per rilanciare la sua economia.  Secondo Jane, i produttori di armi italiani come Finmeccanica hanno cercato in modo aggressivo di entrare negli Stati Uniti e in altri mercati.  Nel 2009 le esportazioni di armi italiane sono aumentate di oltre il 60%.

Naturalmente, c’è un altro fattore rilevante nella formazione italiana del Pentagono.  Per le stesse ragioni per cui i turisti americani affollano il paese, le truppe statunitensi hanno a lungo goduto della dolce vita .Oltre alla vita confortevole circa 40.000 visitatori militari all’anno da tutta Europa e oltre vengono al resort militare di Camp Darby e alla “spiaggia americana” sulla Riviera italiana, rendendo il paese ancora più attraente.

La giustificazione del Pentagono per la nuova base era la necessità dell’esercito di portare truppe dalla Germania a Vicenza per consolidare la 173a brigata in un unico luogo.  

Le basi in Italia rendono più facile perseguire nuove guerre e interventi militari in conflitti di cui sappiamo poco, dall’Africa al Medio Oriente. A meno che non ci chiediamo perché abbiamo ancora basi in Italia e in altre dozzine di paesi simili in tutto il mondo quelle basi ci aiuteranno a guidarci, in nome della “sicurezza” americana lungo un percorso di perpetua violenza, di perpetua guerra e di perpetua insicurezza.

Marco Brogi Le Relazioni di Sicurezza e Intelligence nella Teoria Politica della NATO

Pubblichiamo lo studio del Dott.Marco Brogi che ringranziamo per averci inviato la relazione.

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Carmine America La partecipazione italiana al programma internazionale F-35 Joint Strike Fighter: alcuni spunti di analisi

Carmine America ha maturato diverse esperienze formative in ambito internazionalistico, tra cui la partecipazione, nel 2009, alla National Model United Nations Conference presso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, la partecipazione alla Rome Model United Nations Conference 2010, organizzata dalla Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (Sioi) presso il Quartier Generale della FAO a Roma, e la partecipazione al Corso intensivo “Le Nuove Relazioni Transatlantiche”, tenuto dal Comitato Atlantico Italiano (CAI) e dall’Associazione Consules di Roma, presso l’Università degli Studi di Firenze “Cesare Alfieri”.E’ socio del del Movimento Studentesco per l’Organizzazione Internazionale (MSOI), braccio giovanile della Sioi, nel quale ha rivestito la carica di Consigliere del Direttivo presso la sezione di Napoli; è membro ordinario di ELSA Napoli (The European Law Students Association).Nel 2010 è selezionato dal Consiglio d’Europa per una Traineeship trimestrale presso il Dipartimento Diritti Umani ed Affari Legali a Strasburgo. Nel 2011 è Fondatore e Presidente dell’ Agenzia Italia America, organo di promozione dei legami tra l’Italia e gli Stati Uniti d’America.Nell’ estate 2011 prende parte al Palermo Atlantic Forum, organizzato dal Comitato Atlantico Italiano, ed al viaggio studio presso le Istituzioni Euro Atlantiche di Bruxelles, nell’ ambito della Summer School organizzata dal CAI, in cooperazione con l’Atlantic Treaty Association.Nel Giugno 2011 diviene membro dello Youth Network for Cooperation in the Mediterranean (YNCM). Da Settembre 2011 partecipa, quale co-fondatore, alla istituzione del Club Atlantico di Firenze.

Ralph Thiele Making Security Smart

The CESTUDEC has the pleasure to publish an article of Ralph Thiele Colonel presso Bundeswehr e Chairman presso Political Military Society . We thank the author for the granted authorization regarding the published article