Gagliano Giuseppe Alcune considerazioni sulle implicazioni a breve-medio termine sulle sanzioni economiche sulla Rossi

Vediamo adesso di illustrare alcune delle implicazioni che la guerra economica attraverso le sanzioni avranno a livello globale.In primo luogo avremo un evidente aumento dei prezzi delle materie prime-per esempio cibo ed energia-e questo determinerà l’aumento dell’inflazione che finirà per i modificare profondamente il valore dei redditi finendo per pesare sulla domanda; in secondo luogo vi sarà l’interruzione del commercio e quindi delle catene di approvvigionamento ma soprattutto un aumento dei flussi di rifugiati.Inoltre la perdita di fiducia da parte delle imprese e l’aumento delle incertezze del mercato costringeranno gli investitori a rivedere i prezzi delle attività inasprendo certamente le condizioni finanziarie oltre a determinare dei veri e propri flussi di capitali dai mercati emergenti

Per esempio il coinvolgimento della Russia e dell’ Ucraina -che sono produttori di materie prime – ha determinato e determinerà un aumento dei prezzi globali come per esempio il petrolio e il gas naturale; ma anche il costo del cibo è lievitato in modo notevole come per esempio il grano di cui Ucraina e Russia rappresenta il 30% delle esportazioni mondiali. Ma naturalmente esistono altre ripercussioni sul piano economico: quei paesi che dipendono dalle importazioni petrolifere vedranno inevitabilmente incrementare i loro deficit fiscale commerciale e quindi come conseguenza aumentare la pressione inflazionistica.Certo non bisogna naturalmente dimenticare che alcuni paesi esportatori di petrolio come quelle che si trovano nell’aria africana e nell’aria medio orientale potrebbero trarre benefici da prezzi più elevati.

Per quanto riguarda l’aumento dei prezzi di cibo e del carburante cosa potrebbe comportare tutto ciò? Per esempio l’aumento di destabilizzazione di natura sociale ed economica nelle regioni dell’Africa sub-sahariana , in America latina ,nel Caucaso e certamente nell’Asia centrale; mentre per quanto riguarda l’insicurezza alimentare questo non farà altro che determinare un ulteriore peggioramento delle condizioni già precarie presenti in alcune regioni dell’Africa e del Medioriente.

Non è escluso che a lungo termine l’attuale guerra potrebbe modificare in modo profondo l’ordine economico a livello globale.

Previsioni troppo negative? Scenari apocalittici? Se pensiamo all’Europa orientale il bilancio attuale è già significativo.Infatti le sanzioni che sono state poste in essere nei confronti della Russia finiranno per rendere sempre più difficoltosa l’intermediazione finanziaria oltre che il commercio e quindi determineranno una evidente recessione soprattutto della Russia.Infatti il deprezzamento del rublo non farà altro che alimentare l’inflazione e questo diminuirà il tenore di vita della società civile russa.

Ma anche nel settore della finanza pubblica dei paesi europei l’attuale guerra porterà delle conseguenze come per esempio l’incremento della spesa sia nel settore energetico sia nei bilanci della difesa.Certo non possiamo d’altra parte misconoscere il fatto che gran parte delle banche europee che hanno investimenti in Russia hanno attualmente un profilo di rischio abbastanza limitato e comunque gestibile.

Ma quali ripercussioni potrebbe avere tutto ciò per esempio nella settore geografico dell’Asia e del Caucaso? È evidente che queste nazioni dovranno subire le conseguenze maggiori della recessione poiché hanno delle relazioni di natura bilaterale con la Russia sia nel sistema del commercio che in quello dei pagamenti online ma anche negli investimenti come nel turismo.

Per quanto concerne l’area mediorientale e nordafricana è probabile che i prezzi del cibo e della energia avranno effetti molto importanti (per esempio sull’Egitto che importa gran parte del suo grano dalla Russia e dall’Ucraina);ma anche l’afflusso turistico subirà un calo significativo. Insomma l’inflazione diventerà un elemento dominante e quindi per controllarla servirà un aumento della spesa pubblica che finirà per pesare in maniera rilevante sul debito dei singoli Stati.

Se poi rivolgiamo la nostra attenzione all’Africa sub sahariana è evidente che molti paesi di questa regione saranno maggiormente vulnerabili a causa dell’implicazione della guerra, implicazioni che porteranno all’aumento dei prezzi di energia e dei generi alimentari oltre alla riduzione sempre maggiore del turismo. D’altra parte questi paesi non hanno una capacità di reagire agli effetti di uno di una guerra di questa natura ,non hanno gli strumenti adatti per contenere e limitare i danni e questo non farà altro che incrementare il loro debito pubblico. Infatti per l’Africa sib-sahariana i prezzi altissimi del grano incideranno profondamente sul tessuto economico dei paesi africani.Se poi rivolgiamo la nostra attenzione ai prezzi assai elevati delle materie prime è chiaro che tutto ciò non fa altro che incrementare l’inflazione nell’area dell’America Latina e in quella caraibica dove d’altra parte il tasso medio di crescita è già dell’8% come per esempio in Brasile, in Messico, in Cile, in Colombia o in Perù.Questo determinerà un intervento massiccio da parte delle banche centrali per contenere l’inflazione.

Se poi rivolgiamo la nostra attenzione all’incremento dei prezzi petroliferi esso ha certamente danneggiato gli importatori dell’America centrale e dei Caraibi mentre al contrario quei paesi che esportano il petrolio, il rame il mais,il grano e i metalli possono certamente valutare la necessità di aumentare il prezzo di questi prodotti.

Anche se gli Stati Uniti non hanno legami o partnership dirette con l’Ucraina e la Russia tuttavia i massicci finanziamenti voluti dall’attuale amministrazione non fanno altro che aumentare l’inflazione e di conseguenza i prezzi potrebbero continuare a salire costringendo la Federal Reserve ad aumentare i tassi di interesse.

Veniamo all’area del Pacifico.A nche in questo caso i legami con la Russia sono molto limitati tuttavia il progressivo e graduale rallentamento della crescita economica in Europa a causa di questa guerra finirà per avere un impatto significativo sui principali paesi esportatori di petrolio .

Per quanto riguarda la Cina allo stato attuale gli effetti sono molto limitati e anche se i prezzi delle materie prime e l’indebitamento della domanda nei principali mercati di importazione certamente non faranno altro che aumentare le difficoltà di natura economica. Tuttavia ritengo necessario approfondire maggiormente questo aspetto considerando che la Cina-al pari della Russia-e l’altro grande competi Thor a livello globale degli Stati Uniti (me la speranza che Taiwan a non sia la prossima Ucraina…).

Non c’è dubbio che l’attuale guerra tra Russia e Ucraina riconfiguri in modo profondo gli equilibri della geoeconomie globale.Stiamo facendo riferimento naturalmente non soltanto alla Belt and Road Initiative (BRI) cinese, ma anche al Global Gateway dell’Unione europea, al Blue Dot Network (BDN) guidato dagli Stati Uniti, Build Back Better World (B3W) del G-7, al Quality Infrastructure Investment (QII del Giappone), all’Unione economica eurasiatica russa (EAEU) e l’International North-South Transport Corridor (INSTC) guidato da Russia, Iran e India.

Ma concentriamo la nostra attenzione sulla BRI cinese che allo stato attuale è la più importante iniziativa economica anche perché coinvolge 140 paesi.La

Via Della Seta sarà profondamente riconfigurata da questa guerra; non dimentichiamoci infatti che per la Cina la Russia era una rotta terrestre più affidabile per poter entrare nel mercato dell’Unione Europea.In altri termini Russia, Ucraina, Polonia e Bielorussia dovevano -nel progetto cinese -entrare a far parte di una sorta di nuovo collegamento terrestre euroasiatico basato su rotaia e queste aspettative di connettività terrestre sono state al momento annullate dal conflitto attuale. Anche il 17 + 1 che come sappiamo è una piattaforma di forte sinergia tra la Cina e i 17 paesi dell’Unione centrale ed orientale aveva già subito diverse battute d’arresto ache a causa della guerra economica tra la Cina e l’America.Ebbene questa sinergia non fa altro che subire un ulteriore flessione a causa del contrasto fra Occidente e Russia e soprattutto a causa della distruzione delle infrastrutture ucraine che rendono praticamente impossibile sia breve che a medio termine la possibilità di concretizzare questa sinergia.

A questo punto le relazioni tra la Cina e Unione Europea dovranno concentrarsi sulle tradizionali rotte marittime.Non dimentichiamoci infatti che l’80% del commercio globale viene ancora fatto tramite le rotte marittime e quindi l’entusiasmo dimostrato da parte della Cina per le rotte ferroviarie dovrà almeno per il momento essere accantonato.

Ma la Cina dovrà cercare di aggirare i confini della geografia russo-bielorussia e questo determinerà che la BRI dovrà attribuire maggiore importanza ad altri corridoi come per esempio quello Asia centrale-occidentale cioè quel corridoio che coinvolge la regione del Caspio, l’Iran e la Turchia attraverso il quale la BRI può aggirare la Russia per raggiungere i mercati europei.

In questo senso l’accordo nucleare iraniano ma soprattutto l’accordo di collaborazione tra la Cina e l’Iran della durata di 25 anni non farà altro che rafforzare sempre di più questo corridoio fino a consentire che questo diventi centrale.D’altra parte il legame assai stretto della Cina con l’Iran dipende dal ruolo fondamentale sia del gas che del petrolio che potrebbero costituire un’alternativa a quello russo e che quindi potrebbero attribuire maggiore peso a livello geoeconomico all’Iran.Accanto al a centrale che acquisterà l’Iran anche il corridoio economico Cina-Pakistan che consente di collegamento con l’Oceano Indiano acquisterà di conseguenza maggiore peso: questo corridoio infatti è collegato all’Iran e alla Turchia tramite infrastrutture stradali e ferroviarie (pensiamo ad esempio all’infrastruttura ferroviaria Islamabad-Teheran-Istanbul).Questo potrebbe indurre la Cina a integrare sia questo corridoio con quello iraniano consolidando in questo modo i collegamenti con il Pakistan e l’Iran per poi raggiungere l’Europa via terra. In questa ottica la Turchia acquista una maggiore importanza, un maggior peso a livello di economico per la Cina.D’altronde non è un caso che sia la Turchia che la Cina abbiano potenziato le loro sinergie proprio in questi ultimi anni.

Ma un’altra conseguenza di queste nuove sinergie è certamente quella relativa alla centralità che acquisterà la Cina per la Russia nel settore delle transazioni economiche.Sia MasterCard che Visa a causa delle sanzioni hanno lasciato la Russia e la cinese Unionpay diventerà l’unica alternativa possibile per la Russia.Non è escluso allora che – a lungo termine – le potenzialità economiche e geografiche della Russia e dell’UEE vengano assorbite dall’economia cinese e dalla geografia della BRI.

Ma ritorniamo nuovamente alle sanzioni economiche e alle loro implicazioni.Nel 2014 quando la Russia viene sanzionata per l’invasione della Crimea non c’è stato un tale coordinamento e armonizzazione delle sanzioni tra i paesi europei, gli Stati Uniti, il Canada, il Giappone… Un altro aspetto da sottolineare è l’uso di nuovi strumenti che non erano presenti al 2014: l’elenco dei dignitari e degli oligarchi sanzionati è infatti diventato-e sta diventando-sempre più esteso e capillare.Inoltre alcune nazioni non solo hanno chiesto la possibilità di sequestrare parte della proprietà oltre che di congelare i loro beni.Una differenza marginale è questa? Per nulla.Infatti il sequestro delle proprietà determinerà la perdita di fatto delle proprietà . Un’altra novità rispetto al 2014 èv relativa al fatto che le banche russe non possono più accedere al sistema tradizionale Swift. Ma naturalmente vi sono altri aspetti da sottolineare: le sanzioni hanno infatti avuto un effetto evidente nel settore areonautico, in quello agricolo e in quello energetico.Ma questo dipende anche dal fatto che la politica economica attuata dalla Russia non ha preso in considerazione una strategia di diversificazione industriale. Ritornando al 2014 i tassi di crescita in Russia si sono certamente abbassati e dopo questa data si sono voluti quasi tre o quattro anni perché l’economia si riprendesse dalle conseguenze di queste sanzioni.E infatti ,a partire dal 2017 ,l’economia russa ha incominciato a riprendersi. Ma l’effetto che le attuali sanzioni avranno porteranno la Russia ad una recessione.Una previsione azzardata questa? Si può forse negare che il rublo sia in caduta libera? Si può negare che la Banca centrale russa stia cercando di fare di tutto per ostacolare questa emorragia?Si può forse negare che vi sia attualmente un incremento dei prezzi in Russia? E che dire del fatto che il mancato pagamento da parte di attori privati russi che non possiedono sufficiente valuta estera per pagare determinati fornitori non farà altro che aggravare la situazione?Stiamo forse neanche tanto velatamente alludendo a un vero e proprio default delle banche russe se non addirittura dello Stato russo? Non è uno scenario inverosimile. Un’altra delle conseguenze di questo sanzione è la diminuzione del potere d’acquisto da parte della popolazione russa e quindi un aumento della disoccupazione.Come riuscirà lo Stato russo a fare fronte a tutto ciò? Putin non ha forse sottovalutato il fatto che l’economia è globalizzata? Esiste allora la possibilità da parte della Russia di superare questi rischi? Una di queste possibilità è il ricorso all’alleato cinese sia per quanto riguarda le esportazioni di gas verso la Cina sia per quanto riguarda sistemi alternativi di pagamento.Tuttavia non dimentichiamoci che la Cina ha ottime partnership in ambito petrolifero anche con l’Iran-che ci sono recentemente rafforzate-oltre che con gli EAU .

Ma a parte la Cina quali potrebbero essere le ripercussioni economiche in Europa? Il fatto che sia impossibile accedere al sistema di pagamento Swift per alcune banche russe sta di fatto già penalizzando le piccole medie -imprese europee che fino adesso lo hanno utilizzato proprio per garantire le loro transazioni economiche con la Russia.

Non dimentichiamoci a questo proposito che soprattutto per quanto riguarda la Germania e l’Italia vi è un ampio tessuto di piccole e medie aziende che hanno rapporti anche trentennali con la Russia e ciò determinerà una perdita significativa del loro fatturato che potrà addirittura arrivare fino al 40%. Infatti il settore agricolo, agroalimentare e quello delle macchine utensili europeo particolarmente presenti in Russia sta già subendo dei contraccolpi molto duri.

Ma su lungo periodo potrebbe verificarsi per l’Europa -e non solo -una conseguenza assai più grave è cioè una crisi alimentare globale che se unita a uno shock energetico potrebbe comportare dei rischi molto elevati a livello globale.

Tuttavia per avere un quadro più completo sarà necessario innanzitutto valutare l’impatto delle sanzioni economiche sulla Russia su medio-lungo termine e in secondo luogo sarà necessario valutare l’impatto che avranno le contro sanzioni russe.Solo quando si avrà un quadro coerente di questi due aspetti sarà possibile fare una valutazione sufficientemente oggettiva traendo tutte le implicazioni necessarie a livello di economia globale.Per il momento si possono solo tracciare scenari sulla base dei dati che vengono di volta in volta fornite dai singoli governi e dalle banche centrali che tuttavia sono certamente dati molto allarmanti

Il futuro roseo dell’industria petrolchimica

In un articolato pezzo edito su Le Monde Diplomatique https://www.monde-diplomatique.fr/2022/02/CORREIA/64367 Mickaël Correia contribuisce a smentire molti luoghi comuni sul presunto superamento della dipendenza dei paesi occidentali -e non -dall’industria del petrolio . Quando infatti si parla di petrolio si dimentica molto spesso di parlare anche -e soprattutto -dell’industria petrolchimica e questa dimenticanza dipende dal fatto che l’ignoranza sui fondamenti della industrializzazione è molto diffusa. A dimostrazione di quanto abbiamo dicendo è sufficiente leggere con attenzione l’articolo edito sul Le Monde Che, fra l’altro, dimostra come aldilà dei protocolli firmati sull’ambiente le grandi multinazionali petrolifere si muovono molto rapidamente attraverso joint-venture e partnership per incrementare i loro profitti proprio nell’industria petrolchimica.

“Nel novembre 2018, durante un discorso alla Gulf Petrochemicals and Chemicals Association (GPCA), Amin Nasser, presidente e CEO del colosso petrolifero saudita Aramco, ha promesso a gran voce 100 miliardi di dollari in investimenti petrolchimici nel prossimo decennio. “L’enorme crescita della domanda di prodotti chimici, ha avvertito, ci offre una fantastica finestra di opportunità. Ma tali finestre, per loro stessa natura, offrono i massimi benefici solo a chi agisce rapidamente »

L’azienda, parzialmente privatizzata nel 2019, ha così unito le forze con la sua controparte malese Petronas a gestire, da marzo 2018, un vasto sito petrolchimico a Pengerang, nel sud della Malesia. Di fronte alle acque azzurre dello Stretto di Singapore, la foresta d’acciaio irta di tini e camini divora l’equivalente di dodicimila campi da calcio in una regione della Malesia nota per la sua eccezionale biodiversità tropicale.

Nell’aprile 2018 è stato firmato a Nuova Delhi un protocollo d’intesa tra Aramco e le compagnie petrolifere indiane per costruire, nel 2025, nello stato del Maharashtra, un sito petrolchimico dal costo stimato di 44 miliardi di dollari. Alla fine, migliaia di ettari di mangrovie nella regione di Konkan, che servono da rifugio per una miriade di specie endemiche, saranno rasi al suolo per le infrastrutture che raffineranno sessanta milioni di tonnellate di petrolio ogni anno. Con buona pace di Greta Thunberg

Se il suo sguardo è fisso sull’Asia, il colosso petrolifero non dimentica, tuttavia, di rafforzare le sue capacità di produzione di plastica all’interno della stessa Arabia Saudita. Per questo Aramco può contare su “Vision 2030”, l’ampio piano per la diversificazione dell’economia saudita guidato dal principe ereditario Mohammed Ben Salman. Sulle rive del Mar Rosso, il sito chiamato Petro Rabigh ha raddoppiato le sue dimensioni dal 2017, raggiungendo una superficie di oltre mille ettari. Aramco e il gruppo giapponese Sumitomo Chemical hanno messo sul tavolo 9 miliardi di dollari per vedere emergere dal deserto un hub petrolchimico all’avanguardia, progettato in collaborazione con IFP Énergies nouvelles (dal 2010 nuovo nome del French Petroleum Institute ). Costruito alla periferia della città costiera di Rabigh, il complesso comprende residenze sicure, scuole, un ospedale e persino uno zoo, tutti interamente riservati ai suoi dirigenti e alle loro famiglie.

A meno di cinque chilometri al largo delle vertiginose vasche di materie prime di plastica si trovano le barriere coralline considerate tra le più notevoli, ma anche le più minacciate, del paese. Studi biologici pubblicati nell’agosto 2020 riportano che, sulla costa occidentale della penisola arabica, “la maggiore intensità di deperimento della barriera corallina si è verificata vicino a Rabigh, dove il 65% della copertura corallina totale è stata sbiancata o è morta di recente “.Dei 2,4 milioni di tonnellate di derivati chimici prodotti ogni anno a Rabigh, oltre il 60% viene esportato in Asia e il 10% in Europa, dove finirà in imballaggi alimentari, abbigliamento, materiali da costruzione o parti di computer.

Alla fine del 2015, quando è stato finalizzato l’accordo di Parigi sul clima, una gigantesca fabbrica situata a Jubail, una città petrolifera nell’est dell’Arabia Saudita, ha iniziato silenziosamente la produzione di polietilene, questi composti chimici che rappresentano il materiale plastico più comune e si trovano in metà degli imballaggi prodotti nel pianeta. L’anno successivo, il parco high-tech che ospita questa fabbrica è stato inaugurato con grande clamore. Per la sua costruzione sono stati necessari venti miliardi di dollari di investimenti.

Per erigere questo groviglio di 2.500 chilometri di tubazioni, la compagnia petrolifera si è avvalsa del know-how e delle risorse finanziarie della multinazionale americana Dow Chemical, colosso mondiale nella produzione di materie plastiche. “Entrambi leader nei nostri rispettivi settori, ci siamo uniti attraverso i nostri valori condivisi e la nostra visione creando un impianto di produzione chimica leader del settore”, vanta Aramco. Da allora, 4.300 dipendenti hanno lavorato ogni anno per trasformare barili di combustibili fossili in tre milioni di tonnellate di polimeri essenziali per la produzione di detersivi, cosmetici e beni di consumo quotidiano.

Infine, sempre a Jubail, Aramco ha siglato una partnership con la compagnia petrolifera francese Total. Dal 2014, la piattaforma industriale Saudi Aramco Total Refining & Petrochemical (Satorp) è uno dei siti di raffinazione più redditizi al mondo. Il petrolio viene convertito quotidianamente in propilene (la base di molteplici materie plastiche), benzene (necessario per produrre nylon e resine plastiche) e paraxilene (usato per produrre fibre di poliestere). Attirati dalle meravigliose prospettive di profitti della plastica in Asia, i team di Total e Aramco hanno firmato nuovi accordi nell’aprile 2018 per impegnare 5,5 miliardi di dollari per espandere Satorp. L’obiettivo: costruire un centro petrolchimico faraonico chiamato Admiral, che produrrà 2,7 milioni di tonnellate di plastica chimica all’anno, a partire dal 2024. Le promesse di profitto dalla trasformazione del petrolio in plastica si stanno rivelando così succose che nell’aprile 2020 Total ha indicato che Admiral non sarà in alcun modo influenzato dai tagli agli investimenti previsti a causa della pandemia di coronavirus. A dispetto dell’accordo di Parigi. E le generazioni future.

Aramco ha pagato quasi 70 miliardi di dollari per acquistare le azioni precedentemente detenute dal Fondo di investimento pubblico dell’Arabia Saudita. Un salto da gigante nel pianeta di plastica. Dopo aver digerito Sabic, Aramco ha firmato un memorandum d’intesa nell’agosto 2019 per acquisire una partecipazione del 20% nelle attività petrolchimiche di Reliance Industries. Questa multinazionale indiana opera a Jamnagar, nello stato del Gujarat, la più grande raffineria di petrolio della Terra. Nel 2020, invece, un indiano ha consumato in media dieci volte meno plastica di un nordamericano.

Per estrarre il massimo profitto da ogni goccia di petrolio, Aramco e Sabic si affidano a una tecnica di raffinazione innovativa: il grezzo dal petrolio ai prodotti chimici (COTC), letteralmente “greggio trasformato in prodotti chimici”. Qualificato dall’agenzia economica americana IHS Markit come una “tecnologia rivoluzionaria” che potrebbe “sconvolgere l’industria chimica globale” questo processo consente di convertire direttamente fino al 70% di un barile di greggio in derivati petrolchimici, mentre rispetto alle raffinerie convenzionali riescono ad estrarre il 20%. In quest’ottica, dal 2018 la compagnia petrolifera saudita ha moltiplicato gli accordi di sviluppo COTC con società di ingegneria, come l’americana McDermott, la francese Axens o la franco-britannica TechnipFMC. Nei centri di ricerca di Dhahran, in Arabia Saudita, e di Boston, negli Stati Uniti, i team di Aramco stanno lavorando sodo per trovare la strada più breve per trasformare “l’oro nero” in plastica di dollari. Ad oggi sono già una cinquantina i brevetti depositati dalla compagnia petrolifera.

Basandosi su queste innovazioni, Aramco e Sabic hanno recentemente scelto Yanbu sul Mar Rosso come laboratorio su vasta scala per iniziare questa rivoluzione tecnologica. All’interno di questa raffineria saudita di proprietà congiunta della compagnia petrolifera e del gigante chimico cinese Sinopec, il duo fossile spera di convertire il 45% del greggio in entrata in materie prime plastiche. Grazie ai loro nuovi processi ad alta tecnologia, le due società potranno, entro il 2025, produrre nove milioni di tonnellate di prodotti petrolchimici all’anno in questo sito. Un volume di plastica da due a tre volte maggiore di quello che vomitano i loro attuali complessi di raffinazione. Insomma, mentre l’umanità ha meno di dieci anni per dimezzare le proprie emissioni di gas serra, il più grande inquinatore climatico del mondo ha deciso di scommettere a lungo termine su una tecnologia che, secondo gli esperti di IHS Markit, “più che raddoppiano la redditività di un barile di petrolio “.

Leonardo Maugeri ,Oil: The Next Revolution THE UNPRECEDENTED UPSURGE OF OIL PRODUCTION CAPACITY AND WHAT IT MEANS FOR THE WORLD

Leonardo Maugeri is currently a Research Fellow of the Geopolitics of Energy Project at the Harvard Kennedy School’s Belfer Center for Science and International Affairs.One of the world’s foremost experts on oil, gas, and energy, Maugeri has been one of the most distinguished top managers of Eni, the largest Italian company, which is also ranked number 6 among the largest international oil companies. At Eni, he held the position of Senior Executive Vice President of Strategies and Development (2000–2010) and eventually became Executive Chairman of Polimeri Europa, Eni’s petrochemical branch (March 2010–June 2011). In 2008, Maugeri promoted the strategic alliance between Eni and the Massachusetts Institute of Technology (MIT), which—among other outcomes—led to the establishment of the Eni-MIT Solar Frontiers Center in 2010. Maugeri is recognized worldwide for his books and seminal articles about energy, as well as for his part-time activity as a lecturer in some of the most prestigious universities and think-tanks. Since the early 2000s, he was among the few who affirmed that the world’s oil was neither running out nor approaching its “peak-production.” He was also among the few who predicted the revolution of shale-gas and tight oil.He has published four books on energy, among them, The Age of Oil: the Mythology, History, and Future of the World’s Most Controversial Resource (Praeger, 2006), which earned the Choice Price in the United States in 2007 and was translated into eleven languages. His latest book—Beyond the Age of Oil: The Myths and Realities of Fossil Fuels and Their Alternatives—was published in the United States in March 2010. Mr. Maugeri has also written several articles that appeared in Foreign Affairs, Science, Newsweek, The Wall Street Journal, Forbes, Scientific American, Oil & Gas Journal, and The Review of Environmental Economics and Policy. Mr. Maugeri has been a Visiting Scholar at MIT (2009–2010) and a member of MIT’s External Energy Advisory Board. He also serves as an International Counselor of the Center for Strategic and International Studies (Washington, D.C.) and as a member of the Global Energy Advisory Board of Accenture, and he is a senior fellow of the Foreign Policy Association (New York).