La Dgse e il contrasto all’integralismo islamico

Bernard Bajolet ha riconosciuto, davanti al tribunale speciale il 16 novembre, le carenze dei servizi segreti esterni. L’ex capo della DGSE https://www.liberation.fr/societe/2013/04/10/bernard-bajolet-a-la-tete-de-la-dgse_895170/

riconosce senza mezzi termini che gli attacchi del 13 novembre sono stati “un fallimento” dei suoi servizi, niente di meno. “Sono rimasto sbalordito dall’entità del massacro, ma anche dal fatto che non ero riuscito a impedirlo”, ammette Bajolet durante un intervento sobrio e solenne, di fronte alla Corte d’Assise di Parigi. https://www.europe1.fr/societe/proces-du-13-novembre-emu-et-marque-lancien-chef-de-la-dgse-fait-son-mea-culpa-4077519

Bajolet non elude la questione dei fallimenti della intelligence .Infatti anche se

Abaaoud era stato attenzionato dai servizi fin dal 2013 e anche se i servizi sapevano i suoi contatti con Mehdi Nemmouche, autore dell’attacco al Museo ebraico di Bruxelles non sono riusciti a impedire l’attacco.

Ma perché ci sarebbe stato questo fallimento? Una delle cause-come sottolinea l’ex direttore del servizio segreto esterno francese-era – ed è – la difficoltà di raccogliere informazioni su Daesh.Infatti Infiltrarsi nello Stato islamico non è facile, è pericoloso. Infatti è un’organizzazione molto compartimentata, supervisionata dagli ex servizi segreti iracheni. Riuscire a individuare gli operativi in Europa è ancora più difficile. Bajolet racconta i 50.000 jihadisti presenti nel mondo, l’inondazione di milioni di siriani che si precipitano alle porte d’Europa e di come l’ISIS si infiltra con passaporti falsi o rubati…

Ma ancora più significative-se è possibile-sono le dichiarazioni dell’ex direttore in merito ai contrasti fortissimi tra il servizio segreto interno ed esterno francese.

“Quando ero coordinatore dell’intelligence, i direttori di entrambi i dipartimenti (DGSE e DGSI) non si parlavano l’un l’altro e hanno scritto documenti molto spiacevoli l’uno sopra l’altro. Li convoco, li costringo a firmare un protocollo, che non applicheranno mai”.

I mercenari e la Francia. Il padre e il figlio bastardo

Sono sempre più frequenti gli attacchi del presidente Emanuelle Macron nei confronti dell’uso della compagnia Wagner da parte della Russia in Mali. Se da un lato questi attacchi sono il risultato della consapevolezza da parte della Francia di stare perdendo sempre più terreno rispetto alla Russia -come rispetto alla Cina- dal punto di vista storico queste riflessioni da parte del presidente francese non hanno alcuna ragione d’essere perché la Francia ha sempre avuto un rapporto sinergico proprio con i mercenari.

Infatti tra i servizi segreti e i mercenari il rapporto è lo stesso di un nobile padre e un bastardo.

I bacini di reclutamento principali dei mercenari sono i reggimenti paracadutisti, le truppe marine (ex coloniali) e la Legione Straniera. All’età di 20, 25 o 30 anni, questi uomini hanno lasciato un’istituzione ritenuta troppo burocratica per assumersi responsabilità nell’ambito di gruppi operativi più piccoli.

I mercenari cercano di mantenere relazioni personali con persone della DGSE o della cellula African Elysee, che li legittima agli occhi dei loro clienti.Pensiamo al generale Jeannou Lacaze, ex capo di stato maggiore delle forze armate. Membro del servizio di documentazione esterna e controspionaggio (Sdece), cui è succeduta la DGSE nel 1982, Lacaze conosceva bene Bob Denard uno più noti mercenari francesi a livello internazionale. Ma per quale ragione lo Stato-ieri come oggi-fa uso di soldati privati? L’uso dei soldati privati presenta diversi vantaggi: per esempio lo stato democratico al riparo dalle critiche dell’opinione pubblica può agire con più discrezione ed efficienza.I mercenari non lasciano tracce. Il secondo vantaggio è rappresentato dal fatto che i mercenari non hanno un legame diretto, esplicito e organico con lo Stato e questo consente allo Stato di porre in essere una politica all’insegna della spietatezza e della violazione dei diritti umani per procura. Al presidente Macron bisognerebbe ricordare che tutti i presidenti della quinta Repubblica hanno fatto uso di mercenari : il generale de Gaulle poi Georges Pompidou, dal Katanga al Biafra, Valéry Giscard d’Estaing, dalle Comore al Benin, François Mitterrand, dal Ciad in Gabon. Sotto la presidenza di Jacques Chirac sono state tollerate diverse operazioni: Zaire (1997), Congo-Brazzaville (1997-1998, 2000), Costa d’Avorio (2000, 2002).Ma

l’invio di mercenari può anche costituire un segno politico di appoggio, anche minimalista, come avvenne in Zaire, alla fine del 1996-inizio 1997. Una trentina di francesi erano incaricati di sovrintendere all’esercito di Joseph Mobutu sbaragliato dalle truppe di Laurent-Désiré Kabila, equipaggiata da Rwanda e Uganda. L’operazione si è svolta in condizioni patetiche: equipaggiamento scarso e difettoso, apatia delle truppe zairese, conflitto tra mercenari francesi e serbi, rivalità tra due servizi francesi .

L’oggettiva complicità tra il privato e lo Stato traspare anche dal fatto che i “colpi” compiuti dal primo non vengono generalmente messi in discussione dal secondo. Così, l’operazione di Bob Denard, nelle Comore, nel settembre 1995, ha permesso di rovesciare il presidente Saïd Mohamed Djohar, un autocrate diventato incontrollabile. Il presidente deposto non è tornato al potere il mese successivo dopo l’intervento delle forze francesi…

Pochi tuttavia sanno che esiste un dipartimento francese appositamente dedicato al controllo dei mercenari.Si tratta del dipartimento della Direzione Protezione e Sicurezza della Difesa (DPSD), all’interno del Ministero della Difesa. Tuttavia ci sono delle rilevanti eccezioni: dopo aver svolto le loro missioni spesso i mercenari hanno la brutta abitudine di raccontare tutto quello che hanno fatto a tutto e a tutti.e questo rende il loro uso sempre molto pericoloso e rischioso.

Diversi fattori possono spiegare questo fenomeno: la disgregazione e l’espansione dell’ambiente mercenario, la crescente difficoltà, per ragioni politiche e morali, di farvi ricorso, ma anche, da parte dello Stato, uno smembramento del processo decisionale centri così come le schermaglie tra servizi concorrenti.

È necessario allora sapere chi controlla: la DGSE, la Direzione della Vigilanza Territoriale (DST), gli Affari Esteri, il Presidente del Consiglio o la Presidenza della Repubblica? La disgregazione dei centri decisionali politici ha raggiunto all’inizio del 2000, quando su iniziativa di un consigliere dell’Eliseo, una missione di sei uomini fu assegnata al generale Robert Gueï, l’effimero capo di stato ivoriano, per smantellare le reti di opposizione e ristrutturare la guardia presidenziale. Sei mesi dopo, l’operazione fu smantellata… su richiesta di Matignon. Il dominio di Jacques Foccart sulla politica africana nel suo insieme è molto lontano.

A queste opposizioni all’interno del governo si aggiungono le iniziative personali dei politici, mobilitando, ad esempio, le reti di Charles Pasqua o del colonnello Maurice Robert, ex direttore per l’Africa del Servizio di documentazione e spionaggio esterno (Sdece) ed ex ambasciatore in Gabon. Le operazioni organizzate senza che uno dei servizi interessati (DPSD, DGSE o DST) ne sia a conoscenza sono infatti eccezionali.

Allertati, i politici hanno quindi sempre la possibilità di intervenire.

Nel peggiore dei casi, i servizi possono quindi interrompere o vietare un’operazione come successe per la spedizione in Madagascar, nel giugno 2002.

Anche se confinati a piccoli ruoli, i mercenari restano dunque, ove opportuno, strumenti della politica estera della Repubblica. In Francia come altrove, alcune agenzie specializzate sono dei veri e propri hub per ottenere questo tipo di lavoro. Le più note agenzie di sicurezza private o società di prevenzione e gestione delle crisi negano di avere alcun legame con questo tipo di attività, ma resta poco chiaro il confine con le società militari private. Niente a che vedere, invece, con le grandi aziende anglosassoni – Sandline International, Dyncorp, Defense System Ltd, Military Professional Resources Incorporated (MPRI), Wackenhut, ecc. – pronti a implementare sistemi sofisticati in termini di attrezzature e personale in tempi record.

L’assassinio di Sankara e le presunte responsabilità francesi e americane

Il processo ai presunti assassini del presidente burkinabé Thomas Sankara e dei suoi compagni, durante il colpo di Stato del 15 ottobre 1987, si apre a Ouagadougou l’11 ottobre 2021. Il capo del commando, il signor Hyacinthe Kafando, ancora in fuga, e l’imputato più atteso, l’ex presidente Blaise Compaoré, non saranno fra gli imputati. Esfiltrato dalle truppe francesi durante la rivolta popolare dell’ottobre 2014 quest’ultimo si rifugiò in Costa d’Avorio. D’altra parte, il generale Gilbert Diendéré, che ha guidato le operazioni, così come il signor Jean-Pierre Palm, allora capo di stato maggiore della gendarmeria, sarà presente, insieme ad altri undici imputati.

Per molto tempo, la giustizia di Compaoré (1987-2014) sta moltiplicando le manovre per ostacolare l’indagine, nonostante le azioni svolte dall’estero da avvocati e attivisti burkinabé, tra cui la campagna “Giustizia per Thomas Sankara, giustizia per l’Africa”. Contro ogni prova, il certificato di morte dell’ex presidente include la menzione “morte naturale” fino all’aprile 2008. Ci vuole la rivolta burkinabé per sbloccare la situazione. Nel febbraio 2015, sotto pressione popolare, il governo di transizione ha riaperto il fascicolo. Le autorità nominano un giudice investigativo, François Yaméogo, che da allora ha dimostrato la sua indipendenza e il suo impegno

L’indagine – e questo è il suo primo importante contributo – ha permesso di ricostruire il corso degli eventi del 15 ottobre. L’indagine giudiziaria ha confermato l’identità delle vittime sommariamente sepolte a Ouagadougou. Le indagini hanno stabilito la responsabilità diretta dell’allora ministro della Giustizia. Gli assassini hanno lasciato la sua casa, alcuni addirittura prendendo in prestito uno dei suoi veicoli.

Di fronte alla cattiva volontà degli Stati interessati, il giudice Yaméogo ha completato l’aspetto “interno” del caso lasciando aperta quella delle sue probabili ramificazioni internazionali. Resta da chiarire il ruolo della Costa d’Avorio di Félix Houphouët-Boigny, un incrollabile sostenitore di Parigi, come quello della Francia, un’ex potenza coloniale, allora in piena convivenza tra il presidente François Mitterrand e il primo ministro Jacques Chirac. Potrebbero essere coinvolti altri paesi. Nell’ottobre 1987, mentre la guerra fredda volgeva al termine, Parigi sostenne il Ciad nel suo conflitto con la Libia di Muammar Gheddafi, ex alleato di Sankara, per il controllo della banda Aozou. Fu anche in questo momento che il liberiano Charles Taylor – che godeva di un sostegno significativo a Tripoli, Abidjan e Washington – organizzò la ribellione armata che avrebbe insanguinato il suo paese e destabilizzato la vicina Sierra Leone per sette anni.

Durante un viaggio in Burkina Faso nel novembre 2017, il presidente francese Emmanuel Macron si è impegnato a revocare il segreto della difesa, come ufficialmente richiesto dal giudice Yaméogo. Questa promessa non sarà mantenuta. I primi due lotti di documenti declassificati che hanno raggiunto Ouagadougou includono solo documenti secondari. I documenti infatti non riguardano gli armadi di Chirac e Mitterrand.

È stata l’indagine giudiziaria burkinabé a rivelare la presenza di agenti francesi a Ouagadougou il 16 ottobre 1987, il giorno dopo il colpo di stato.

Finora, poche prove corroboravano una possibile complicità delle autorità francesi. Le reazioni ostili di Parigi ad alcune iniziative Sankara – come il suo sostegno all’inclusione della Nuova Caledonia nell’elenco dei territori da decolonizzare delle Nazioni Unite – sono ben note. In una lettera indirizzata al suo ministro della Cooperazione Michel Aurillac, il primo ministro Jacques Chirac chiede, per rappresaglia, di ridurre gli aiuti francesi al Burkina Faso

Altre manovre sono arrivate dall’entourage del presidente Mitterrand dopo un vivace scambio con Sankara in una cena ufficiale il 17 novembre 1986 a Ouagadougou. Il giovane capitano denuncia in particolare le consegne di armi francesi ai paesi in guerra e l’invito a Parigi del sudafricano Pieter Willem Botha, figura emblematica dell’apartheid. Guy Penne, consigliere africano del capo di Stato francese, ha poi organizzato una campagna per denigrare la rivoluzione burkinabé. Ha messo François Hauter, allora importante giornalista a Le Figaro, in contatto con l’ammiraglio Pierre Lacoste, ex direttore della Direzione generale per i servizi esterni (DGSE). L’intelligence francese fornisce al giornalista documenti destinati a alimentare una serie di articoli, che descrivono presunte atrocità commesse dal capitano rivoluzionario. Saranno pubblicati nel 1986.

Preoccupato per l’influenza della rivoluzione burkinabé, il presidente ivoriano Houphouët-Boigny, pilastro dell’influenza francese nella regione, accoglie e finanzia compiacentemente i suoi oppositori .Da parte sua, il presidente libico Gheddafi accusa Sankara di non sostenerlo nel suo conflitto con il Ciad riguardante la banda Aozou e di rifiutarsi di installare una delle sue legioni islamiche a Ouagadougou. Questi tiro alla fune sono confermati da molti elementi degli archivi americani (14). La sanguinosa guerra civile della Liberia avvicina Ivorian Houphouët-Boigny, Burkinabé Compaoré e Libyan…

Vediamo adesso al coinvolgimento americano.

La tesi del coinvolgimento americano nell’assassinio del padre della rivoluzione burkinabé Thomas Sankara ha riacquistato interesse nel 2015, quando la RAI ha trasmesso “African Shadows”, un documentario diretto dal giornalista investigativo italiano Silvestro Montanaro.

Basandosi in particolare sulle testimonianze di Jewel Howard Taylor, l’ex moglie di Charles Taylor, Momo Jiba, l’ex aiutante di campo dell’ex presidente liberiano, o Cyril Allen, un funzionario del suo partito, il Fronte Patriottico Nazionale della Liberia (NPFL), Montanaro ha affermato nel suo film che la CIA aveva aiutato la Francia a causarne la morte

Secondo lui, Charles Taylor, che era scappato il 15 settembre 1985 da una prigione ultra sicura nella contea di Plymouth (Massachusetts), avrebbe svolto un ruolo centrale in questa cospirazione internazionale. Secondo quanto riferito, i servizi americani lo hanno aiutato nella sua fuga, con due obiettivi in mente: da un lato, destabilizzare il regime di Samuel Doe (torturato e assassinato cinque anni dopo) e dall’altro, infiltrarsi nel movimento sankarista, “neutralizzare” la sua figura principale e fare del Burkina Faso una base per operazioni di colonizzazione

Ma il documentario soffre di molte inesattezze. Si sbaglia particolarmente sull’ora e sul luogo dell’assassinio di Thomas Sankara.

Da parte di Washington, anche le informazioni sono a dir poco difficili da ottenere. Con il Freedom of Information Act (FOIA) approvato nel 1967, la CIA ha messo a disposizione del pubblico un’impressionante massa di documenti. Questi archivi, digitalizzati e accessibili online su un sito dedicato, non sono ancora stati oggetto di uno studio esaustivo. Ma a causa delle restrizioni sulla relativa trasparenza previste da FOIA – sicurezza nazionale, segreto di difesa o rispetto della privacy – intere pagine sono barrate da un’ampia “Pagina negata” e il testo è costellato di rettangoli bianchi che nascondono un nome, una data o un apprezzamento…

Un tuffo di poche ore in questi archivi, tuttavia, fa luce sulla visione dell’amministrazione Reagan di Sankara e della sua rivoluzione. In un memorandum del 10 novembre 1987, la stragrande maggioranza delle cui pagine sono state censurate, viene misurata la mobilitazione dei servizi americani nel fascicolo. Tra il 15 ottobre e il 1 novembre, non meno di 200 messaggi riservati sono stati inviati dai loro uffici dell’Africa occidentale alla loro base di Washington.

All’indomani del colpo di stato, i servizi statunitensi con sede a Ouaga notano che ci sono stati “alcuni eventi isolati di studenti che esprimono sentimenti pro-Sankara”, ma accolgono con favore che “al momento non c’è opposizione”.

Un mese dopo, è questa volta in un rapporto del Foreign Broadcast Information Service, preso di mira dal capo delle operazioni della CIA ad Abidjan, che troviamo la traccia di Sankara.

Quello che è certo è che non appena salì al potere, il giovane capitano spaventò gli americani. In un “rapporto di avvertimento” del 18 agosto 1983, gli analisti della CIA considerano ancora “troppo presto per dire se il regime di Sankara nell’Alto Volta sarà una vera copia di quello di (passaggio censurato, Jerry Rawlings) in Ghana”. Ma per Washington, tutti i segnali sono rossi: “Entrambi i governi si rivolgono alla Libia per ispirazione rivoluzionaria e militare e assistenza economica”. L’ufficiale dell’intelligence che ha scritto la nota , tuttavia, che “molti individui associati al nuovo regime sono marxisti-leninisti e potrebbero scontrarsi con la filosofia islamica radicale di Gheddafi”.

In una lunga analisi segreta datata 24 luglio 1986, messa a disposizione del pubblico nel 2011, l’ufficiale dell’intelligence indica che “la minaccia più grave per Thomas Sankara proviene dalla Lega patriottica per lo sviluppo (LIPAD), un piccolo partito filo-sovietico che lo ha aiutato a salire al potere”. Alcuni dei membri del LIPAD, una volta esclusi dalla leadership del paese, erano stati reintegrati nel governo. “Pensiamo che probabilmente stiano cercando di reindirizzare il Burkina Faso a una politica più radicale, intensificando discretamente i loro sforzi per ottenere il sostegno degli insoddisfatti tra gli abitanti delle città, i sindacalisti e gli ufficiali. »

L’analista americano assicura inoltre che ci sono “segni crescenti di insoddisfazione” nell’esercito a causa della presunta “leadership doppia” di Sankara. “Ufficiali e truppe sono frustrati dal suo rifiuto di migliorare le capacità militari, dalle sue frequenti purghe tra gli ufficiali e dall’integrazione di “cani da guardia politici”. All’indomani della “guerra di Natale” tra Mali e Burkina Faso, nel 1985, i servizi americani scrissero: “È possibile un colpo di stato guidato da ufficiali insoddisfatti. Tuttavia, “le frequenti purghe e il controllo delle unità militari chiave da parte di consiglieri stretti dovrebbero consentire (Thomas Sankara) di evitare di prendere il potere nel prossimo futuro”.

Washington è anche molto preoccupata per le relazioni tra il presidente del Burkinabe e la Libia e l’URSS. Secondo una nota, Thomas Sankara ha “un’ossessione per le questioni di sicurezza”, che potrebbe portarlo ad avvicinarsi a questi due paesi, nemici giurati degli Stati Uniti, al fine di ottenere “offerte di assistenza militare”.

Un anno prima dell’assassinio del presidente burkinabé, gli americani avevano un altro timore: “Se Sankara perdesse il potere, pensiamo che il Burkina Faso entrerebbe in un periodo caotico di cui Tripoli e Mosca probabilmente trarrebbero beneficio.“

Le responsabilità della Francia nel genocidio ruandese. Le numerose ommissioni del rapporto della commissione Duclert

Il 26 marzo 2021, dopo due anni di lavoro, la commissione di ricerca sugli archivi francesi relativi al Ruanda e al genocidio dei tutsi (1990-1994), presieduta dallo storico Vincent Duclert, rompe un tabù sull’azione della Francia in questo piccolo paese nella regione dei Grandi Laghi in Africa. Ma restano delle zone d’ombra dovute alla segretezza che circondava la politica africana a Parigi e alla difficoltà di accedere ai documenti ufficiali dell’epoca.

Mentre i militari interessati sono ora sollevati dal dovere di riservatezza , l’accesso agli archivi resta soggetto ad autorizzazioni eccezionali. Il codice del patrimonio (articolo L. 213-4) impedisce l’apertura di quelli dell’esecutivo (presidenza e governo) per almeno venticinque anni. Tuttavia, secondo l’avvocato Bertrand Warusfel, la maggior parte dei segreti, anche quelli militari, perdono la loro importanza dopo dieci o quindici anni .Sebbene i ricercatori possano richiedere esenzioni, queste vengono concesse a discrezione dell’esecutivo stesso. Lo stesso telegramma diplomatico del 1993 poteva così essere consultato in un dato momento da tutti i ricercatori a La Courneuve (archivi del Ministero degli Affari Esteri), ma solo su richiesta di altri a Pierrefitte (Élysée); lo stesso modulo della Direzione generale per la sicurezza esterna (DGSE) è accessibile a Pierrefitte, ma non a Vincennes (Ministero francese delle forze armate) …

Un’altra serratura protegge le autorità dalla curiosità di cittadini e ricercatori: la segretezza. Nonostante il nome, può proteggere archivi estranei alla difesa. Secondo un rapporto ufficiale del 2018, sono classificati cinque milioni di documenti, di cui meno della metà dal Ministero delle Forze Armate; gli altri provengono dal Ministero dell’Interno o riguardano il nucleare civile, o addirittura… l’agricoltura .I documenti che il Ministero delle Forze Armate declassifica sono spesso irrilevanti, incompleti o omessi.Difficile non condividere il giudizio di Marc Trévidic -L’ex giudice antiterrorismo -che mette in dubbio la conformità costituzionale di un principio che consente al potere esecutivo di ostacolare la giustizia su argomenti “sensibili” .

La politica francese in Ruanda tra il 1990 e il 1994 rientra in questa categoria. Come tutti i presidenti della Quinta Repubblica, François Mitterrand, in nome della stabilità del continente, sostenne regimi autoritari ritenuti favorevoli alla Francia. Nel 1990 è il caso di quello del presidente Juvénal Habyarimana, minacciato dalla ribellione del Fronte patriottico ruandese (RPF), ora al potere. L’Eliseo poi decide da solo, tenendo a bada Parlamento e gran parte del governo, come conferma il rapporto Duclert. Le informazioni sui preparativi per il genocidio contro i tutsi sono sistematicamente escluse; gli informatori, come il colonnello René Galinié, addetto alla difesa a Kigali, il generale Jean Varret, capo della cooperazione militare, o Claude Silberzahn, a capo della DGSE, vengono licenziati e sostituiti.

Nel 1993, divenute pubbliche le accuse ,l’Eliseo e lo stato maggiore provocano ritorsioni mediatiche: la storia semplificatrice di un regime legittimo attaccato da un movimento armato straniero con sede in Uganda e favorevole agli interessi anglo-americani. si diffuse sulla stampa. Questa negazione, che affonda le sue radici nella segretezza delle deliberazioni del governo, durerà per un quarto di secolo. Dopo l’attacco del 6 aprile 1994, in cui furono uccisi il presidente Habyarimana e il suo omologo burundese Cyprien Ntaryamira, i decisori francesi si impantanarono a sostegno degli estremisti hutu mentre si impegnavano ad assassinare i loro principali avversari, prendere il potere e sterminare sistematicamente i tutsi . Tra il 7 aprile e il 17 luglio 1994 sono stati massacrati 800.000 uomini, donne e bambini, secondo le Nazioni Unite (ONU) .Come interpretare l’atteggiamento delle autorità francesi? Solo l’accesso agli archivi risponderà a questa domanda.

Si tratta principalmente di circa diecimila documenti del Palazzo dell’Eliseo, depositati presso l’Archivio Nazionale di Pierrefitte, e circa altrettanti del Ministero degli Affari Esteri, tra cui molti telegrammi diplomatici, e mezzo migliaio di fascicoli DGSE, spesso duplicati in più fondi . A ciò si aggiungono circa 200.000 documenti di interesse molto vario sparsi nel servizio di difesa storica (SHD) di Vincennes.

Sotto la crescente pressione di giornalisti e associazioni, Parlamento, giustizia e presidenti François Hollande e poi Emmanuel Macron hanno chiesto ciascuno la declassificazione di una o più migliaia di documenti. Ma la maggior parte dei documenti rimane inaccessibile al pubblico, mentre le condizioni di consultazione degli altri scoraggiano la ricerca per l’impossibilità di effettuare copie. È inoltre vietata la pubblicazione online di tali documenti. I più difficilmente accessibili sono gli archivi del Ministero delle Forze Armate, che non fornisce nemmeno l’inventario SHD

Le autorità pubbliche reagiscono lentamente e con cautela alle domande dei ricercatori e degli investigatori. Così le rivelazioni del giornalista Patrick de Saint-Exupéry a Le Figaro (dal 12 al 15 gennaio 1998) che metteva in discussione l’atteggiamento della Francia durante il genocidio hanno provocato la creazione di una semplice missione di informazione parlamentare (MIP), il 3 maggio 1998, quando una commissione di indagine sarebbe stato più efficace.

Su altri punti, il MIP si autocensura. Non convoca, per esempio, il capitano Paul Barril, un ex gendarme dell’Eliseo divenuto mercenario, ma spesso citato nelle indagini sul Ruanda. Se svolge molte udienze, alcune si svolgono a porte chiuse, come quelle dei direttori della Dgse o di tanti militari. Non pubblica la lettera del generale Jean Rannou del 15 giugno 1998, che attesta l’esistenza delle due scatole nere del Falcon 50 presidenziale abbattuto il 6 aprile 1994 e ne elenca le caratteristiche. Tuttavia, il MIP fornisce alcune informazioni utili, come le allerte inviate dal generale Varret nel 1990: “Sono pochissime, le liquideremo”, gli disse a proposito dei tutsi il capo della gendarmeria ruandese. Rivela in parte il controllo esercitato dal colonnello francese Didier Tauzin sull’esercito ruandese nel febbraio-marzo 1993. Purtroppo il suo rapporto finale si limita a una sintesi parziale del suo lavoro.

Dal 2005, le denunce dei sopravvissuti tutsi hanno portato i tribunali a chiedere la declassificazione degli archivi militari. Ma, anche qui, l’apertura resta parziale, come attesta la Gazzetta Ufficiale, dove si registrano i rifiuti ricevuti dai magistrati .Nel 2015, la promessa del signor Hollande di aprire gli archivi dell’Eliseo a tutti i ricercatori si è scontrata con la rappresentante di Mitterrand, la signora Dominique Bertinotti, che ha concesso autorizzazioni di consultazione solo in piccole quantità, senza diritto di fotografia. Sequestrato da ricercatori e associazioni delle vittime, il Consiglio di Stato, riunito in formazione solenne, decide il 12 giugno 2020 a favore dell’«interesse di informare il pubblico su questi eventi storici» contro la «tutela dei segreti di Stato» Questa formula generale, pronunciata in un caso particolare, suona come un avvertimento. In altre democrazie, come il Regno Unito, una richiesta di archivio comparabile può essere soddisfatta in sei settimane e il documento inviato dopo un ulteriore periodo della stessa lunghezza.

Nell’aprile 2019, Macron, ansioso di migliorare l’immagine della Francia in Ruanda e in Africa, ha accreditato la commissione di accademici presieduta da Duclert. Gli dà accesso a una collezione di archivi, sia civili che militari. Nessuno specialista dei Grandi Laghi africani è incluso, poiché si tratta soprattutto di analizzare il funzionamento dello Stato. Il voluminoso rapporto che ne risulta cita ottomila documenti, in particolare dell’Eliseo, del Matignon, della DGSE e dell’SHD. Mette infine al loro posto coloro che cercano di negare il genocidio dei tutsi o di assolvere la Francia da ogni responsabilità.

Necessario, tuttavia, questo rapporto rimane insufficiente, in ritardo rispetto alle pubblicazioni esistenti di ricercatori, giornalisti e associazioni. I suoi limiti sono di diversi tipi. Gli stessi autori ammettono che gli archivi mancano o potrebbero essere stati distrutti. L’ufficio dell’Assemblea nazionale ha quindi rifiutato di rilasciare tutti i MIP, non solo i verbali delle udienze a porte chiuse.

Inoltre, la commissione Duclert, incaricata di studiare il periodo 1990-1994, ha escluso documenti successivi ma rilevanti.

Inoltre, nell’analisi degli archivi che rientrano nel suo ambito, il rapporto appare incompleto. Si cerca invano il resoconto da parte francese dei colloqui avvenuti dal 9 al 13 maggio 1994 tra il generale Jean-Pierre Huchon, addetto alla difesa di stanza a Kigali, e il tenente colonnello Ephrem Rwabalinda, che chiese aiuto a Parigi . Il secondo era tra i vice del capo di stato maggiore delle forze armate ruandesi (FAR), che poi partecipò al genocidio. “I soldati francesi”, spiega l’ufficiale FAR nel suo racconto di questi incontri, “hanno mani e piedi legati per fare qualsiasi intervento a [loro] favore a causa dell’opinione dei media che solo l’RPF sembra pilotare. . Se non si farà nulla per ribaltare l’immagine del Paese verso l’esterno, i leader militari e politici del Ruanda saranno ritenuti responsabili dei massacri commessi in Ruanda. “Pertanto, aggiunge,” la lotta mediatica è un’emergenza. Essa condiziona altre operazioni successive»

Più in generale, il rapporto, che si concentra sul pre-genocidio, minimizza il sostegno francese (descritto come una “strategia indiretta” dal generale Christian Quesnot) fornito durante i massacri al governo ad interim ruandese (GIR) e alle FAR. Ha solo scalfito la superficie della questione delle consegne di munizioni dopo il 6 aprile 1994, ma sufficientemente consolidata per essere oggetto di una denuncia di complicità in genocidio. Ignora completamente la presenza, per quanto ben documentata, di una dozzina di soldati francesi nella zona governativa tra aprile e giugno, dopo la partenza ufficiale degli ultimi soldati francesi. Che ruolo avevano? Il rapporto, inoltre, non sfrutta i sei fascicoli DGSE che riguardano le due piccole squadre di mercenari comandate da Barril e Robert (“Bob”) Denard. Tuttavia, il primo ha firmato con il Presidente del Consiglio dei Ministri del GIR, il 28 maggio 1994, un contratto di assistenza dal titolo “Insetticida”. Per la cronaca, è con il termine “scarafaggi” che gli estremisti hutu si riferivano alle loro vittime tutsi.

Un’altra importante zona grigia riguarda l’operazione militare “Turquoise” (22 giugno – 22 agosto 1994), lanciata da Parigi con l’approvazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, per porre ufficialmente fine alle stragi. Nei primi giorni successivi allo scoppio, circa duemila profughi tutsi sulle colline di Bisesero, nel Ruanda occidentale, furono abbandonati ai loro assassini mentre i soldati francesi erano nelle vicinanze e informati della loro presenza. Di questi fatti incriminanti, il rapporto offre una storia incomprensibile ai non addetti ai lavori. Stranamente omette di menzionare che circa ottocento di questi profughi sono stati finalmente salvati il 30 giugno su iniziativa di soldati francesi che agivano senza ordini. Si limita a riprendere parte delle giustificazioni dell’esercito (“mancanza di intelligence”, “capacità militari ancora limitate”, “preoccupazione per il rispetto degli ordini ricevuti dal potere politico”), che gli archivi non supportano.

Una denuncia per complicità in genocidio, presentata dai sopravvissuti di Bisesero, mira a capire perché non sia stato dato alcun ordine di protezione e soccorso e di chi sia la responsabilità, sul posto e a Parigi. I documenti riservati che sono stati rifiutati ai giudici compaiono nel perimetro accessibile alla commissione, che è stata informata. Li ha cercati, li ha trovati? Tuttavia, non ha inviato nulla alla giustizia. Il rapporto afferma che le FAR si sono ritirate a luglio nella zona controllata da “Turquoise”, nota come “zona umanitaria sicura” (ZHS), dove devono essere disarmate. Se sottolinea i limiti di questa azione, omette di ricordare che le FAR continuano a combattere da questa zona, cosa che però attesta allo stesso tempo le mappe della DGSE ei rapporti di situazione degli stati maggiori.

Il rapporto racconta a lungo le discussioni all’interno dell’esecutivo francese e del Consiglio di sicurezza dell’Onu per sapere se “Turquoise” può e deve arrestare i membri del GIR che si sono rifugiati nello ZHS, o semplicemente controllarli in attesa di consegnarli. alla giustizia internazionale. Il signor Bernard Emié, del gabinetto del ministro degli Esteri Alain Juppé, ha quindi scritto al suo rappresentante in loco: “Utilizzate tutti i canali indiretti, e in particolare i vostri contatti africani, non esponendovi direttamente, per trasmettere a queste autorità i nostri vorrei che se ne andassero [lo ZHS]. Sottolineerà che la comunità internazionale e in particolare le Nazioni Unite dovrebbero ben presto determinare la condotta nei confronti di queste cosiddette autorità” .

Ma il rapporto ignora un elemento essenziale di contesto che fa luce su questi scambi. Sebbene nessuna decisione sia stata ancora presa, l’Eliseo e il Quai d’Orsay stanno affrontando il resto del governo con un fatto compiuto, il Parlamento francese e l’ONU: su richiesta del ministero degli Esteri, l’esercito francese permette ai criminali di andare in Zaire (oggi Repubblica Democratica del Congo), dove si stanno riorganizzando nel tentativo di riconquistare il Ruanda. Dopo il genocidio, lo stato non negherà il suo sostegno ai suoi alleati in fuga, sia in Zaire che in Francia, dove sono ampiamente accolti. Ma questo punto è totalmente assente.

Nel complesso, il rapporto Duclert dà l’impressione di fermarsi davanti a tutto ciò che potrebbe aprire la strada a un’azione penale. Tre caratteristiche sono alla base della nozione di complicità nel diritto e nella giurisprudenza francesi: il sostegno attivo, fornito con piena cognizione di causa e che ha avuto un effetto sul corso degli eventi. Tenendo conto degli elementi accumulati e stabiliti, la giustizia dovrebbe essere in grado di pronunciarsi. La commissione Duclert, pur non ritenendosi legittimata ad esprimere un simile giudizio, si permette di giungere a una conclusione altamente politica. Poiché non c’è traccia di intento genocida tra i decisori francesi, li esonera da qualsiasi complicità. Ricordiamo però che nel 1998 l’ex alto funzionario Maurice Papon fu condannato per complicità in crimini contro l’umanità senza aver aderito all’ideologia nazista e neppure aver avuto piena conoscenza del crimine commesso.

Il rapporto presenta Mitterrand ei suoi consiglieri come eccezioni, la loro politica in Ruanda come una disfunzione che appartiene al passato. L’obiettivo è riconciliare Francia e Ruanda, anche a scapito della conoscenza storica e della giustizia? Strano oggetto politico-universitario, il rapporto è stato redatto nei locali del ministero delle Forze armate. È stato presentato ai giornalisti da Franck Paris, consigliere per l’Africa di Macron, e dal generale Valéry Putz, membro del suo staff, i cui predecessori del 1994 sono implicati nel documento.

La grande difficoltà di fare piena luce sull’azione della Francia sottolinea la segretezza che ancora circonda la sua politica africana e il funzionamento delle istituzioni della Quinta Repubblica, che conferisce al Capo dello Stato e al suo entourage il potere di prendere, quasi senza tutela, decisioni con gravi conseguenze per popolazioni e interi paesi.